Un libro di racconti va inteso come una collana di perline. Non occorre avercelo tutto in testa, come capita con un romanzo, ma è fondamentale possederne il filo. “Gotico rosa” (La nave di Teseo) non fa eccezione a questa regola: per una decina d’anni ho infilato le perline nello stesso filo finché non ho completato la collana. “Deliquio veneziano” è stato evocato da una canzone. Nell’estate del 2022 me ne stavo con le cuffie nelle orecchie quando è rintoccata la chitarra di David Gilmour per la cupa introduzione di Sorrow.
Quelle prime note hanno sortito in me un incantesimo. Era come se la canzone mi stesse suggerendo l’attacco di un racconto ambientato a Venezia. Divenne una specie di droga. Passavo le giornate con Sorrow in loop, anche perché sapevo che quella canzone dei Pink Floyd mi serviva per mandare avanti la scrittura. A un certo punto presi un treno e me ne andai direttamente a Venezia, per completare il racconto en plein air. Racconto e canzone stabilivano un parallelismo esatto quanto oscuro. In ambedue i casi c’era un aspirante suicida che soffriva dentro un mare oleoso: la comunicazione era avvenuta in superficie e in profondità, un secondo deliquio veneziano.
“Racconto della pioggia” nasce da un invito. Nel 2020 Nadia Terranova mi contattò per prendere parte a K, una nuova rivista cartacea che avrebbe curato per Linkiesta. Mi spiegò che i numeri sarebbero stati monografici e il primo si sarebbe occupato di “Sesso”. In questi casi la prima cosa che fa uno scrittore di racconti è quella di andare a rovistare nel suo hard disk per vedere se c’è qualcosa di pronto, ma non avevo niente che mi soddisfacesse rispetto alla parola chiave fornita da Nadia. Ero nel mio studio romano e cominciò a piovere. La concatenazione dei pensieri fu velocissima, avrei raccontato la storia di una coppia di amanti clandestini dentro un hotel, un temporale dopo l’altro. Ascoltando l’acquazzone optai per abolire il punto, le frasi sarebbero scivolate via come gocce di pioggia sul vetro di una finestra.
“Vitalità dell’amore” lo devo a una censura. Nel 2021 un giornale rifiutò un mio racconto di San Valentino perché ritenuto troppo scabroso. Mi arrabbiai molto, lagnandomi della stupidità di questi nostri tempi. Naturalmente mi ricordai di uno degli esempi più eclatanti di censura moderna, quella rivolta ad alcune poesie licenziose contenute nei Fiori del male di Charles Baudelaire (correva l’anno 1857, Le Figaro bollò il poeta come attentatore della morale pubblica). Nei giorni successivi però l’arrabbiatura non se ne andava. Una vendetta congrua sarebbe stata quella di lavorare ancora sul racconto incriminato per renderlo pubblicabile in volume, aggiungendo scene e motivi alla storia in primo piano, la vicenda di un dottore e di una baby squillo che giocano molto seriamente all’amore.
“Gotico rosa” esiste grazie a un’ingiunzione. Nel 2023 ero a un pranzo milanese con l’editore e, tra le altre cose, buttai lì l’idea di raccogliere in un libro tutti i racconti d’amore che andavo scrivendo. Dichiarai anche l’intenzione di chiamare la raccolta Gotico rosa (era un titolo che mi frullava in testa da un decennio). A quel punto dal tavolo venne una richiesta precisa: che il titolo – subito accolto con entusiasmo – fosse giustificato da un racconto omonimo. Tornato a casa mi misi a lavorare a una storia matrimoniale e demoniaca, sforzandomi di mantenerla in equilibrio tra il racconto rosa e quello gotico.
“Ferragosto addio!” è scaturito dall’insonnia. Dopo la nascita di mia figlia ho trascorso parecchie estati stanziali al Circeo. Nell’estate del 2012, in una notte particolarmente calda e asfissiante, poggiai il PC sul letto e cominciai a battere i tasti come spiritato. Mi era venuto in mente l’attacco del racconto, questi due ragazzini annoiati dall’estate che decidono di assaltare le ville dei ricconi, ignorando che sarebbero stati interrotti dall’arrivo di un vandalo molto più temibile di loro: l’amore. Il nero abisso esistente tra noi non sarebbe mai esistito senza la pandemia.
Nel 2020, durante il primo lockdown, mi resi conto che riguardo al virus cominciavo a pensare cose che non potevano essere dette. Che non sarebbe stato conveniente dire. Non erano semplici opinioni, ma riflessioni più personali (e allo stesso tempo più universali), filamenti di fantasie, fumisterie sessuali. Dove infilare quindi i miei pensieri obliqui, scorretti? Quando le cose che si pensano non hanno spazio ecco che se ne affaccia uno, angusto e immenso come certi lavori spericolati di Escher, salvifico, il regno del paradosso e degli esperimenti, quello della letteratura.
“Trascurate Milano” viene da un desiderio. Nel 2018, dopo il romanzo “Gli autunnali”, volevo tornare a una forma di narrazione più contratta e veloce, vertiginosa, e allora mi venne l’idea di scrivere un racconto anticonvenzionale per Natale. La festività mi portò in dote Milano; Milano mi offrì la metropolitana; la metropolitana il tema della molestia; la molestia l’identikit del molestatore, un padre di famiglia che nelle viscere della città si trasforma; l’identikit del molestatore quello della molestata, che avrebbe dovuto essere speculare ma opposta all’uomo, quindi una giovane studentessa spiantata. Spesso succede così, un racconto nasce da un effetto domino d’idee.