Responsabilità moraleGiacomo Matteotti, il riformismo e noi

“Tempesta. La vita (e non morte) di Giacomo Matteotti” di Antonio Funiciello non è solo un libro ma è una missione speleologica per ritrovare il senso del riformismo europeo

LaPresse

Nella celebrazione catodica dell’antifascismo di maniera, Giacomo Matteotti è senza dubbio il personaggio più iconico che viene evocato quest’anno, complice anche il centenario della sua uccisione che cade tondo il giorno in cui l’Italia si recherà alle urne per votare il rinnovo del Parlamento europeo.

Cento anni di esilio, incomprensioni e sottolineature intorno alla sua morte, ma poche e sporadiche le occasioni in cui riflettere della sua vita. L’onore di riportare in vita il pensiero politico del deputato socialista se lo prende Antonio Funiciello che col piglio dello speleologo, attraverso una ricerca minuziosa e caparbia, ci restituisce la lezione riformista di Matteotti, dimenticata dalla sinistra italiana. 

«Il riformismo – scrive Funiciello nel libro – è una promessa da mantenere ogni giorno perché è impossibile da mantenere una volta per sempre», e su questo postulato fatto di irrequietezza e idealità si muove la vita di Matteotti, in cui l’antifascismo è reazione legalitaria alla soppressione dello Stato di diritto, in cui l’anticomunismo non è un vezzo scissionista figlio delle tesi del congresso di Livorno ma è l’unico modo per stare nella storia e anticipare i tempi. 

Nel libro, la biografia del deputato di Fratta Polesine è decostruita per permetterci di comprendere il rapporto tra vita e ideali, tra contesto storico e azioni. Matteotti – ricorda doverosamente nel libro Funiciello – non era un proletario, era figlio dell’agiata borghesia, con un padre imprenditore e accusato di prestare soldi a tassi consoni a un usuraio, un fratello, amato maestro, Matteo, morto troppo presto per poter condividere fino in fondo la pena di essere un innovatore del pensiero riformista, nel momento in cui era più difficile esserlo tra il nazifascismo che invadeva l’Europa e il comunismo che agiva da agente di polarizzazione.

La sua vita e l’elaborazione del pensiero agiscono nella storia contemporanea come un elemento di separazione, perché se è vero che il suo assassinio verrà ricordato più delle sue idee,  ancora oggi quella incompiuta transizione ideologica ci riporta all’urgenza di riprenderlo in mano, di studiarlo e di rimetterlo al centro del dibattito pubblico. 

Proprio i nodi antropologici della sinistra italiana che Matteotti si trova ad affrontare ce lo rendono nostro contemporaneo, il dibattito tra interventismo e pacifismo, tra espulsione o meno dei massoni dal Partito Socialista, il modo con cui fare opposizione al fascismo, il nodo dell’anticomunismo e dei rapporti con le forze di opposizione permettono di sperimentare un metodo che potrebbe essere applicato all’attualità. 

Matteotti non era pacifista, anzi, come ricorda Funiciello spesso idealmente si fa strada in lui l’idea di un socialismo rivoluzionario, le armi sono strumento di emancipazione per le masse, ma non sono pronte, non sono determinate a muoversi per rovesciare il regime. Di qui l’assunto che non esiste un pacifismo assoluto che diviene irenismo, ma la guerra di natura imperialistica che usa il proletariato come carne da macello quella si va contrastata.

Il conflitto col fascismo invece è interessante notare che si consuma con una manovra avvolgente, da un lato l’azione di contro propaganda, il lavoro sul territorio (Matteotti fu un politico estremamente radicato), lo studio, le proposte e lo scontro. Sembra quasi impossibile da arginare proprio come una tempesta che non si ferma, non si argina, si subisce e si aspetta che passi. Una lezione anche per chi nel 2024 si oppone alle derive sovraniste e illiberali contrastando più l’enunciato che le conseguenze, più un fascismo storico e museale che le nuove modalità utilizzate da partiti, governi e regimi. 

Il Matteotti di Funiciello sul finale diviene un dipinto murale, che con colori forti resiste alle pieghe del tempo e riconsegna ai lettori la responsabilità morale, l’impegno di uscire dalla stanca celebrazione del mito per provare a riportare le idee socialiste e riformiste di quel ragazzo di Fratta Polesine che guarda ancora al futuro.

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