Dalla newsletter settimanale di Greenkiesta (ci si iscrive qui)
«La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali».
Sono passati più di due anni da quando la legge costituzionale n.1 dell’11 febbraio 2022 ha introdotto la tutela dell’ambiente all’interno della nostra Costituzione, aggiungendo all’Articolo 9 il comma evidenziato in grassetto qui sopra. La riforma è intervenuta anche sull’articolo 41, specificando che l’iniziativa economica privata non può «recare danno all’ambiente». È una di quelle notizie da prime pagine dei giornali e da libri di scuola, ma in quel periodo l’attualità è stata inevitabilmente stravolta dall’invasione russa dell’Ucraina, avvenuta un paio di settimane dopo la pubblicazione definitiva della norma.
Il tema è sparito dai radar dell’informazione italiana, anche se le discussioni degli addetti ai lavori non si sono mai fermate. A Roma, per esempio, questa settimana Fondazione UNA, AB (Agrivenatoria Biodiversitalia) e l’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare hanno organizzato un confronto tra i maggiori costituzionalisti italiani, riuniti attorno a un tavolo anche per parlare del celeberrimo Articolo 9 (è stato anche oggetto di una delle tracce dell’esame di maturità di quest’anno).
Tra i partecipanti all’evento romano del 16 luglio c’era anche la giurista Daria de Pretis, vicepresidente emerita della Corte Costituzionale, che ha lasciato la Consulta nel novembre 2023 (nella foto sopra, del 2014, è con Giorgio Napolitano, allora presidente della Repubblica, durante la cerimonia di giuramento dei nuovi giudici della Corte Costituzionale). Con lei, in un’intervista di circa mezz’ora, ho cercato di sciogliere i dubbi accumulati da quell’11 febbraio 2022.
Durante il liceo, avendo frequentato l’indirizzo Economico-sociale applicato a Scienze umane, ho avuto la fortuna di studiare Diritto per cinque anni. Se durante una lezione sulla Costituzione avessi letto l’attuale versione dell’Articolo 9, la mia coscienza ambientale si sarebbe sviluppata prima.
Inserire la tutela ambientale nella Costituzione è stata una scelta simbolicamente molto forte e importante. Leggere una dicitura del genere, anche con un riferimento chiaro alla tutela delle future generazioni, è fondamentale. Ma va anche detto che, sostanzialmente, la riforma non ha aggiunto quasi nulla a ciò potevamo già ricavare dalla Costituzione. È pieno di sentenze che ritengono l’ambiente un valore costituzionale primario e che hanno bloccato tante leggi che non funzionavano da questo punto di vista: parlo soprattutto di leggi regionali. Ci sono stati un po’ di malintesi sul senso dell’autonomia. La dimensione locale a volte è preziosa, altre volte è pericolosa.
Quindi la nostra Costituzione è arrivata “in ritardo” sui temi ambientali solo dal punto di vista teorico?
Nel vecchio Articolo 9 c’era una previsione, molto innovativa per l’epoca, sulla tutela del paesaggio. In quel momento, in piena ricostruzione dopo la guerra, il tema dell’attenzione al paesaggio era elitario, ma la Costituzione l’ha tradotto e reso per tutti. Un altro esempio è l’Articolo 32 sulla tutela della salute, ritenuta un diritto inviolabile dell’uomo e un interesse della collettività. Questo articolo è sempre stato considerato di riferimento per la tutela ambientale, perché la sua portata è stata estesa. In più, la Corte Costituzionale – fin dagli anni Settanta – ha vagliato leggi alla luce dei principi costituzionali che ha espressamente chiamato “principi di tutela dell’ambiente”. Con la riforma del Titolo V, poi, l’ambiente è entrato tra le materie esclusivamente di competenza dello Stato.
Con l’autonomia differenziata, però, le cose potrebbero cambiare.
L’autonomia differenziata, che sull’ambiente consentirà allo Stato una negoziazione con le Regioni che lo chiedono, dice qualcosa al riguardo. Ma l’ambiente, tolte alcune eccezioni, sfugge e continuerà a sfuggire alla dimensione locale e regionale.
L’introduzione della tutela ambientale nell’Articolo 9 della Costituzione può essere un assist per i contenziosi climatici che partono dal basso?
Il tema dei contenziosi climatici è caldissimo, e anche in Italia diventerà sempre più attuale. In Germania, due anni fa, la Corte Costituzionale tedesca ha emesso un’importantissima sentenza che ha sostanzialmente bloccato il bilancio federale, sostenendo che il modo con il quale la legge di bilancio spalmava il prezzo della riduzione delle emissioni di CO2 – spostandolo troppo avanti – sarebbe pesato sulle nuove generazioni. Anche la Corte di Strasburgo si è espressa sulla questione delle pensionate svizzere (ma il parlamento svizzero ha respinto la sentenza, ndr) o dei minorenni portoghesi colpiti dall’incendio.
La parola “clima” non è stata inserita nell’Articolo 9. La crisi climatica e gli sforzi di mitigazione-adattamento trovano legittimità all’interno della nostra Costituzione?
Il clima è una conseguenza dell’idea di ambiente. Forse avrebbero potuto fare una precisazione. Magari tra vent’anni discuteremo sull’introduzione del clima nell’Articolo 9, ma questo tema è di fatto già incluso. Il clima c’è, anche se non si vede. Il merito è non solo della nozione sull’ambiente, ma anche della parte sulle future generazioni. Secondo me l’assenza della parola “clima” nella Costituzione non è un tema.
Perché è così rilevante il riferimento alle future generazioni?
Perché rafforza l’idea di ambiente come elemento che ci viene consegnato in eredità. Lo sforzo dello Stato per ridurre le emissioni è legittimato dal principio di tutela ambientale, e il modo in cui lo Stato procede all’attuazione di queste scelte può essere sindacato anche alla luce della necessità di proteggere l’interesse delle future generazioni.
Secondo Ecco e ASviS, la modifica dell’articolo 9 «stenta ad affermarsi come quadro di riferimento per la definizione delle politiche pubbliche». È d’accordo?
A me pare che già prima del 2022 le politiche pubbliche fossero – almeno nominalmente – orientate al tema della sostenibilità. Poi, e su questo sono d’accordo, non ce n’è mai abbastanza: si devono fare tanti passi avanti anche in termini di sensibilizzazione, e su questo la riforma costituzionale ha avuto un impatto. Il Green deal, un tema in cui il bilanciamento tra interessi è fondamentale, dice proprio che uno dei motivi ispiratori di qualsiasi politica pubblica è la sostenibilità, anche dal punto di vista ambientale. Secondo me si può dare un giudizio politico sulla qualità del modo con cui questo valore entra nelle politiche pubbliche, ma dire che non entra proprio nelle politiche pubbliche mi sembra quasi ingeneroso.
Il Green deal, come da lei anticipato, è frutto di un bilanciamento di interessi diversi, provenienti da soggetti e gruppi eterogenei. Un po’ come nella Costituzione?
Tutti gli interessi e i principi non sono mai assoluti, ma convivono con tutti gli altri interessi in gioco. Questo la Corte Costituzionale l’ha affermato con grande chiarezza con la sentenza Ilva sull’acciaieria di Taranto di una decina d’anni fa. È stata sottoposta la seguente questione: il diritto alla salute è inviolabile, quindi bisogna chiudere le acciaierie perché è dimostrato il loro impatto negativo sulla salute. La Corte Costituzionale, però, ha detto che non esiste un diritto assoluto nel nostro sistema, e se esistesse sarebbe un diritto tiranno e tutti gli altri soccomberebbero. Alla fine, ne farebbero le spese i più fragili, le persone che di quelle acciaierie purtroppo vivono.
La nostra Costituzione, al di là del termine “clima”, può ancora migliorare per risultare più in linea rispetto alle sfide ecologiche del presente e del futuro?
Pensare che il tema della risposta alle sfide ecologiche del presente possa avere un’affermazione costituzionale è forse ingenuo. Anche se mettessimo nella Costituzione l’impegno a ridurre le emissioni di CO2 – cosa un po’ inverosimile perché non si tratta di previsioni costituzionali – non ci sarebbe uno stravolgimento della situazione attuale. Sarà per deformazione professionale, ma credo che nell’istruzione, nella sensibilizzazione, nell’attenzione e nella partecipazione, ossia il coinvolgimento delle persone nelle scelte politiche. Dal punto di vista della politica, è fondamentale un’azione più responsabile, che non vada alla mera ricerca dell’immediato consenso e che si faccia carico di spiegare la complessità delle cose. Abbiamo un grande deficit di partecipazione ai circuiti delle scelte pubbliche, che comporta una serie di rischi per la democrazia. Anche per il clima c’è un tema di coinvolgimento, perché alcuni nostri comportamenti non sono più di tanto condizionabili con le leve delle politiche pubbliche.
Le azioni individuali sono importanti, ma è la politica ad avere il margine d’azione più ampio: il nostro governo continua a investire nel fossile, contrariamente alle indicazioni della scienza. Questo non significa ignorare le generazioni future?
Certo. Ma la fetta più grande della popolazione ha interessi diversi rispetto, ad esempio, ai giovani. Non è un caso che siano nati tutti i movimenti di protesta. Questo per dire che nella Costituzione, secondo me, c’è già tutto per quanto riguarda sia la sostenibilità ambientale, sia le procedure attraverso le quali si può costruire qualcosa di buono per il futuro.