«Che lavoro affascinante», ti dicono quando sanno che fai la degustatrice di vini. Che poi non è un lavoro esclusivo, ma è uno dei diversi impegni che si possono intraprendere nell’occuparsi della materia come giornalista e come comunicatrice. Se ne parlava giusto qualche giorno fa con un importante collega, vice-curatore di una delle guide più famose: in poco più di due mesi i suoi assaggi hanno superato il numero di quattromila. Ad agosto, poi, si dedicherà all scrittura delle schede e, si spera, al detox. Mi ha confessato che non è mai stato così tanto fuori forma, nonostante si prenda cura di sé e sia ancora sotto i cinquant’anni. Ovunque sia, fa quindicimila passi al giorno. Il suo lavoro principale è questo e lo fa da oltre quindici anni. Quando non si occupa della guida, viaggia per promuovere il prodotto editoriale e quindi ci sono altri assaggi, accompagnati da pranzi e cene. Quanto è sostenibile per il corpo – ma anche per la mente – una vita così?
Per Pete Wells, critico gastronomico del New York Times, non lo è più. Dopo dodici anni di attività il noto columnist del quotidiano americano lascia il posto perché, come scrive lui stesso sulle colonne del giornale: «Le mie analisi erano pessime su tutta la linea; il mio colesterolo, la glicemia e l’ipertensione erano peggiori di quanto mi aspettassi. Si parlava di pre-diabete, malattia del fegato grasso e sindrome metabolica. Ero tecnicamente obeso». Wells, nel concludere il suo lavoro per l’elenco dei migliori cento ristoranti di New York, è arrivato a una conclusione, che il suo interesse per il cibo è calato. Ha meno fame. A corollario di questo addio il giornalista scrive anche che «esplorare, apprezzare, comprendere, interpretare e spesso persino godere di quella festa (andare fuori a pranzo e a cena in città, ndr) è stato il più grande onore della mia carriera».
Uno dei critici gastronomici più famosi al mondo ha avuto il coraggio – ma anche la posizione privilegiata – di dire basta perché chi fa questo mestiere è «in piedi sull’orlo di un buco infinitamente profondo». E anche lui ammette che, tra gli addetti ai lavori, gli argomenti salute e peso sono un tabù. Da un lato c’è chi pensa che non sia un lavoro – mangiare, bere e farlo in posti spesso incantevoli pare più un premio che qualcosa che dà da vivere, quindi guai a lamentarsi – dall’altro – e sono numerosissimi – c’è chi lo ha reso un non-lavoro per davvero, con paghe da fame, con forfettari ridicoli, con l’idea che il vero critico enogastronomico debba fare un altro mestiere per sostenere la sua passione. Solo così sarà scevro da conflitti di interesse. Ma non dai risultati del laboratorio di analisi.
Se al posto del cibo metti il vino, il quadro non cambia. Tenendo da parte per un attimo i “guidaioli” – che hanno il compito di assaggiare la media di sessanta/settanta vini al giorno – per chi scrive di vino la situazione non è più rosea. Basta farsi un giro a un’anteprima – gli eventi organizzati per far conoscere le annate più recenti alla stampa – per notare quante persone siano in sovrappeso o obese, o magari abbastanza magre ma con quell’evidente gonfiore da alcol all’altezza dell’addome. Per non parlare della lunga lista di fastidi recitati come un rosario, dal reflusso gastrico, al mal di testa, dall’alito cattivo, alla sonnolenza.
Molti sono coloro, tra i degustatori che, dopo una certa età, hanno fatto ricorso al palloncino intragastrico per ridurre i chili (che vengono ripresi però con una certa facilità). Per non parlare dell’abuso d’alcol e di tutto quello che ne consegue. Tra i maschi questi disagi sono più evidenti, un po’ meno tra le donne. Soprattutto entro i quarant’anni. Poi diventa più difficile per tutti, senza differenze di genere. La nota positiva è che tra le nuove generazioni di degustatori e degustatrici – che sono anche influencer e trendsetter e quindi appaiono molto più in video e in foto delle generazioni precedenti – si nota una maggiore dedizione alla cura del corpo. Magari solo una scelta edonistica, ma che di fatto può avere una ricaduta positiva anche sul loro stato.
È solo una mancanza di volontà nel mettersi dei paletti? Non proprio. L’autogestione non è facile, soprattutto se il vino rappresenta un vero piacere – e in effetti tale dovrebbe essere – ma una collaborazione da parte di chi il vino lo fa, lo promuove, lo vende e lo versa non guasterebbe. Proviamo a offrire qualche spunto.
- Hai voglia a dire che durante le anteprime ci si limita a sputarlo, il vino. L’assorbimento dell’alcol tramite le mucose è comunque rilevante. È davvero necessario assaggiare così tanti vini in pochi giorni? Se l’obiettivo è quello di farsi un’idea dell’ultima annata non potrebbe essere selezionato un numero di etichette-campione, divise per aree, esposizioni e pratiche enologiche e tirare le somme? Non sarà precisa come rilevazione, si potrebbe obiettare. Assaggiare centinaia di vini al giorno invece lo è?
- Idem – o quasi – per le guide dei vini. Basterebbe ridurre il numero dei premi per assaggiare meno campioni. So che alla lettura di quest’ultima riga molti staranno sogghignando. Meno premi vogliono dire meno introiti commerciali per le pubblicazioni. Soluzione? Commerciali più bravi in queste realtà editoriali nel fare new business, ad esempio. O valutare un turn over di assegnazioni: un anno tocca ai vini di montagna, l’altro a quelli di mare, il terzo a quelli di collina (questa è quella più impegnativa). Insomma, prediligere un format alla ripetizione sempre identica della pubblicazione.
- Tu azienda che mi inviti a conoscerti – o consorzio o associazione di categoria – non ridurmi a un cencio da rimettere su un treno diretto verso casa. Fammi godere, ma con saggezza e buon senso. Non sono necessari due ristoranti al giorno con altrettante batterie di vino annesse. Appuntamenti prandiali tra l’altro che sono un primo e un dopo un flight di degustazione professionale. Tra di noi ce lo diciamo, spesso tutto questo è noioso, oltre che stancante. Sostituiamo la tavola con un buffet, dove poter scegliere quello che vogliamo o quello che ci serve, anche solo un piatto di insalata. Prevediamo, nel corso di press tour più lunghi, un po’ di tempo libero, o per fare sport in gruppo, che sia solo anche una passeggiata. Nessun obbligo, ma un’opportunità.
- Parliamone seriamente tra noi addetti ai lavori – produttori, giornalisti, ristoratori, commerciali – e medici specializzati (ma direi anche psicologi) in incontri che mettano al centro la nostra salute e di conseguenza anche quella del settore. Noi non siamo – solo – il nostro lavoro.
- L’ultimo spunto ha l’aria del desiderio irrealizzabile. Se il lavoro del critico enologico – come quello del critico gastronomico – avesse uno statuto economico e professionale ufficiale, sarebbe più facile dire molti più no o semplicemente fare il proprio mestiere che è quello di decidere cosa bere e mangiare, quando, come e perché. Senza sentirsi delle oche messe all’ingrasso.