Estate rossaIn Spagna lo sport fa parlare di politica (e viceversa) anche alle Olimpiadi

I calciatori della nazionale accusati di indifferenza politica e rivendicazioni identitarie sembrano l’opposto delle calciatrici attiviste e progressiste. In ogni caso la rappresentativa spagnola mai così numerosa e multiculturale è pronta a conquistare molte medaglie a Parigi 2024

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Può essere – anche questa – l’estate della Spagna. L’anno scorso, ad agosto arrivò il titolo mondiale nel calcio femminile; quest’anno, le Furie Rosse hanno appena conquistato il titolo europeo maschile, ed entrambe le selezioni saranno in corsa per la medaglia d’oro a Parigi 2024 (anche se la squadra maschile, ovviamente, sarà quella Under-23). Ma non si tratta solo del calcio: il paese iberico si presenta in Francia con ben trecentottantadue atleti e atlete, risultando il settimo paese più rappresentato (più di Italia e Regno Unito). Si tratta inoltre della spedizione spagnola più numerosa dai tempi dei Giochi di Barcellona del 1992.

Martedì scorso, l’intera rappresentativa olimpica e paralimpica ha incontrato Pedro Sánchez per gli auguri di rito, e il primo ministro ne ha approfittato per ricordare ad atleti e atlete che il loro compito non è solo quello di vincere medaglie, ma ancora di più di essere esempi per i giovani. Oggi più che mai, in Spagna il ruolo sociale degli sportivi è al centro del dibattito, specialmente dopo quello che si è visto nel calcio maschile subito dopo la vittoria degli Europei. Festeggiando a Madrid coi tifosi il successo ottenuto in Germania, i calciatori spagnoli si sono avventurati in un coro nazionalista («Gibilterra è spagnola») che ha creato un piccolo caso diplomatico.

Calcio e politica sono più vicini che mai
Nonostante la gran quantità di nomi che il paese iberico ha portato a Parigi (alcuni anche molto attesi, come il tennista Carlos Alcaraz), non c’è dubbio che sia il calcio lo sport con cui la Spagna si identifica e viene identificata maggiormente. È sul rettangolo verde che si inseguirà un risultato storico: quello di due ori nel calcio nella stessa Olimpiade, cosa mai riuscita a nessun paese. Ma al di là di questo dato stuzzicante, i due mondi del pallone non potrebbero essere più diversi. Agli scorsi Europei, la squadra maggiore maschile ha dato un’impressione di grande indifferenza verso il proprio ruolo politico, e la leggerezza del coro su Gibilterra ne è un perfetto esempio, così come il portiere Unai Simón che, a proposito delle prese di posizione dei colleghi francesi sulle elezioni nel loro paese, ha detto che per lui i calciatori dovrebbero pensare solo a giocare. In compenso, chi su questo tema ha una consapevolezza maggiore degli altri, si colloca nettamente dalla parte della destra populista, come il terzino del Real Madrid Dani Carvajal, vicino a Vox e il cui saluto svogliato a Pedro Sánchez ha fatto molto chiacchierare i media spagnoli.

Di tutt’altro avviso sono le donne della squadra femminile che, un anno fa, da fresche vincitrici del titolo mondiale, rivoltavano il calcio nazionale denunciando le molestie del presidente federale Luis Rubiales alla collega Jenni Hermoso. Negli anni passati, le calciatrici spagnole hanno portato avanti due scioperi per forzare il sistema sportivo a riconoscere loro maggiori diritti. La loro battaglia è vista nel paese come un’avanguardia del movimento femminile e femminista, grazie anche a figure estremamente politicizzate come la detentrice del Pallone d’Oro Aitana Bonmatí, che un paio d’anni fa celebrava la conquista della Coppa dei Campioni col Barcellona indossando una maglietta con la scritta “Refugees Welcome”.

Sport e integrazione, all’ombra del razzismo
Proprio il tema dei migranti è uno di quelli più caldi nella politica spagnola, come nel resto d’Europa. Per quanto oggi al potere ci sia un governo di sinistra, l’estrema destra rappresentata da Vox è in costante crescita in questi anni, con le sue rivendicazioni xenofobe e contrarie all’immigrazione. Non molto tempo fa, i suoi esponenti definivano «letamaio multiculturale» il quartiere popolare di Rocafonda, vicino Barcellona, che è il luogo in cui è cresciuto Lamine Yamal, che a soli sedici anni è stato una delle stelle della squadra vincitrice del titolo europeo e festeggia i suoi gol indicando il codice postale del proprio barrio. Accanto a lui in attacco c’era Nico Williams, basco di Pamplona, figlio di due immigrati ghanesi che scavalcarono la frontiera a Melilla per poter entrare in Spagna: Williams ha raccontato questa storia spiegando il motivo per cui ha regalato la sua medaglia di campione d’Europa alla madre.

La Spagna che scenderà nei vari campi sportivi di Parigi per queste Olimpiadi è l’immagine di un paese multiculturale. Da Salma Paralluelo, ventunenne attaccante della squadra di calcio femminile la cui madre proviene dalla Guinea Equatoriale, a Samu Omorodion, centravanti della squadra maschile nato proprio a Melilla da genitori nigeriani. E poi ovviamente anche negli altri sport, come Mohamed Attaoui, nato ventidue anni fa in Marocco e oggi vincitore della medaglia d’argento sugli ottocento metri piani agli ultimi Europei di Roma, o Ana Peleteiro, figlia di una donna galiziana e di un padre africano che non ha mai conosciuto, e oggi detentrice dell’oro europeo e del bronzo olimpico nel salto triplo. Forse non saranno esplicitamente schierati e attivi come le loro connazionali calciatrici, ma rappresentano dei preziosi simboli d’integrazione.

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