Questo è un articolo del nuovo numero di Linkiesta Magazine L’età dell’insurrezione + New York Times Big Ideas in edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e nelle stazioni di tutta Italia. E ordinabile qui.
Non odio la paura; fa parte della vita. Sono cresciuta nella campagna messicana e ho capito rapidamente che la paura vegliava su di me. Mi metteva in guardia dall’arrampicarmi sugli alberi che erano guasti e instabili. Mi metteva in guardia dall’entrare nel fume quando vedevo delle nuvole in cima alla montagna, fenomeno che dava a intendere che una tempesta lontana avrebbe potuto rendere più impetuosa la corrente e che avrei potuto essere risucchiata da un mulinello. Credo che ci sia una paura primordiale che ci permette di comprendere il nostro posto nella natura e nel mondo. Ci dà dei limiti e ci permette di ereditare una saggezza molto antica che ci accompagna attraverso le generazioni. Sono profondamente grata ai miei antenati per questo dono, ma la conoscenza da sola non è infallibile.
Questa saggia paura, che è propria della campagna, non mi ha salvato durante la mia infanzia quando, mentre camminavo nei pressi di una cascata che si trovava lì vicino, un gruppo di uomini mi ha gettato a terra, mi ha preso a calci e mi ha derubato. Tutto quello che quegli uomini hanno ottenuto sono stati una bottiglia d’acqua e un vecchio cellulare. Da quel giorno non sono mai più tornata a vedere quella cascata. E ora le mie passeggiate in campagna sono accompagnate da una sensazione di angoscia liminare che non mi abbandona finché non sono al sicuro a casa.
Le storie di violenza negli spazi pubblici sono diventate più cruente e frequenti. I posti che un tempo per me, per la mia famiglia e per la comunità erano dei luoghi di svago e di contemplazione si sono trasformati in qualcosa di sinistro. Ma quello che detesto non è la paura in sé: detesto il soggiogamento e la violenza che ci privano della libertà, della possibilità di autodeterminarci e dell’innocenza.
Mi ricordo che da bambina ero molto paurosa. Ero terrorizzata dal buio notturno, dal silenzio, dalla solitudine, dalle tempeste, dai mostri e dalla sfortuna. Ho sofferto di insonnia infantile e di un’ansia cronica, che mi portava a ricorrere a metodi estremi, quasi fisici, per controllare e minimizzare le mie preoccupazioni.
Per contrastare l’oscurità, ho imparato a leggere, dal momento che quando leggevo alla luce di una piccola lampada la paura finiva per accucciarsi accanto a me, come un cane stanco. Per contrastare il silenzio, ho imparato a cantare e a emettere suoni con la bocca che coprivano gli spazi silenziosi con il canto. Per contrastare la solitudine, ho imparato a immaginare, a riempirmi di storie e di parole. Per contrastare le tempeste, ho imparato a sedermi accanto a mia madre e ad aspettare che passassero. Per contrastare i mostri (una paura che alla fine è scomparsa quando sono cresciuta), ho chiesto aiuto alla mia famiglia e ai miei amici. Per contrastare la sfortuna, ho imparato a combattere, a non perdere la speranza e a rifugiarmi nella tenerezza, e queste sono delle capacità che continuo a esercitare.
La paura che ci opprime, però, è diversa. Affrontare questa paura è un impresa dolorosa e complicata, ma è anche estremamente importante. In quanto donna, il mio rapporto con la paura è intenso e soffocante. Sono cresciuta e vivo in un Paese in cui ogni giorno vengono uccise, in media, dieci donne. Il coraggio che mi sono dovuta costruire nei primi anni di vita per poter vivere un’infanzia relativamente normale non mi ha salvato dalla violenza di genere, dalla misoginia o dall’impotenza. Non mi ha protetto dagli abusi sessuali e dal dolore.
Tuttavia, grazie al coraggio che le donne in Messico devono per forza sviluppare, ho iniziato a scrivere canzoni, a raccontare le mie storie e a viaggiare per il Paese da sola e anche di notte. Per quanto mi riguarda, cantare è il modo in cui mi salvo dalla paura. Scrivere canzoni mi aiuta a costruire un via di accesso alla libertà e a vivere la vita che voglio. Eseguire la mia musica mi dà la gioia di creare uno spazio che tiene ben lontana la violenza, confinandola al di fuori del proprio perimetro.
Durante un concerto, i musicisti e le persone che li ascoltano sono liberi di essere chi sono veramente. Immagino sempre che la crudeltà scappi via non appena ci sente cantare insieme. Le nostre voci, quando si mettono insieme, si fondono in un coro di immensa e incalcolabile forza. Tutto questo mi ricorda i bruchi che si uniscono tra loro per assomigliare a un enorme serpente, evitando così che si avvicinino i predatori. Quando siamo uniti, possiamo tenere a bada la violenza. Vorrei che tutte le donne del mondo sapessero che meritiamo di vivere in questo modo: appagate e libere mentre cantiamo le nostre storie.
Il cercare di vivere senza paura non ci mette al riparo dall’avere alcune paure, ma ci allontana, auspicabilmente, da quella paura invalidante che siamo stati istruiti a interiorizzare come se fosse una parte della narrazione di noi stessi. E la liberazione da questa paura ci mostra un percorso diverso, ci rende più empatici e ci ricorda il nostro valore e il valore della comunità. Ci restituisce la capacità di movimento e la forza di vivere la vita come vogliamo, senza accontentarci di quello che ci viene imposto. Ci permette di metterci in discussione, di cambiare, di migliorare, di sbagliare e persino di ricominciare da capo.
Quello che mi spaventa davvero non è la morte, ma la vita che non viene vissuta a causa di tanto terrore, di tanta violenza, di tanto odio. Io non ho paura del silenzio; ho paura di essere messa a tacere, ho paura di non poter cantare e di non poter dire quello che penso, ho paura che le parole non mi salvino dall’essere sola. Non ho paura del dolore; ho paura di vivere in un mondo che non prova pietà o compassione. Non ho paura della paura; ho paura di vivere in una società che la usa per sottometterci.
Io faccio una distinzione tra la paura saggia – quella conoscenza “ereditata” che ci mette in guardia dagli impulsi sbagliati – e tutte quelle tragedie e tutto quel sangue. Nonostante tutto, ho intenzione di tornare nei dintorni di quella cascata e di continuare a vivere e cantare liberamente. Questa sarà la mia piccola rivoluzione. La mia paura non apparterrà a coloro che vogliono vederci sottomessi e silenziosi. La mia paura è mia, proprio come lo sono il mio amore, la mia speranza e la mia libertà.
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