L’altra faccia della medagliaLo sport ucraino va forte alle Olimpiadi, ma in patria subisce il prezzo della guerra

Ai Giochi la delegazione di Kyjiv tiene alti i colori gialloblu, nonostante impianti sportivi distrutti, allenatori al fronte e atleti sfollati o costretti ad allenarsi in condizioni precarie per colpa della Russia

AP/Lapresse

Due linee gialloblu incorniciano uno sguardo fiero, un sorriso appena trattenuto e un paio di scarpe arancioni. L’immagine di Yaroslava Mahuchikh prima della rincorsa per i due metri sembra quella di chi si prepara a fare il salto più facile del mondo e non di chi sta per diventare campionessa olimpica di salto in alto femminile. Eppure, qualche minuto dopo è tra gli spalti dello Stade France a sventolare la bandiera Ucraina, insieme alla connazionale Iryna Gerashchenko, che ha vinto il bronzo, e alla folla che le acclama. Con questa vittoria l’atleta ha regalato alla squadra olimpica dell’Ucraina il secondo oro, dopo la squadra femminile di scherma. Mahuchikh ha scelto di dedicare la sua vittoria agli atleti uccisi dall’inizio dell’invasione russa, invitando a riflettere sulla situazione del sistema sportivo nel suo Paese. «Questa medaglia è importante, ma la Russia ha ucciso persone nel mio Paese – ha detto la ventiduenne – Quasi cinquecento atleti sono morti in guerra e non potranno mai partecipare alle competizioni».

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Nonostante il medagliere ucraino si stia riempiendo lentamente, giorno dopo giorno, le condizioni di tutto il sistema sportivo in patria sono drammatiche. Lo raccontano Jeré Longman e Oleksandr Chubko in un articolo sul New York Times dopo aver trascorso più di due settimane tra stadi e centri sportivi ucraini. Dalle interviste ad atleti, allenatori e funzionari è emerso chiaramente che «in Ucraina non esiste più nulla di simile a una cultura sportiva normale».

Centinaia di impianti sportivi sono inutilizzabili, gli allenatori scarseggiano e molti giovani atleti sono stati sfollati e hanno lasciato il Paese. Chi è rimasto, invece, deve fare i conti con le conseguenze fisiche e psicologiche della guerra. Anche i centoquaranta atleti della delegazione arrivata a Parigi sono stati costretti ad allenarsi all’estero o, se rimasti in patria, in condizioni estremamente precarie, usando attrezzi improvvisati e torce durante le interruzioni di corrente. La stessa Mahuchikh dall’inizio dell’invasione si è spostata in Germania, lontana da Dnipro, la sua città. In una delle interviste al New York Times, il presidente del Comitato olimpico ucraino Vadym Gutzeit ha detto che «è difficile dire un numero, ma l’Ucraina ha sicuramente perso la sua prossima generazione di atleti perché molti sono partiti».

Da febbraio 2022 i funzionari sportivi affrontano quotidianamente la sfida di mantenere in piedi un sistema sportivo spaccato in due, riorganizzando i vari programmi. Lo svolgimento delle attività deve infatti fare i conti con gli attacchi russi che spesso non lasciano tregua a città già martoriate. «Gli allarmi arrivano così spesso – raccontano Longman e Chubko in visita al centro sportivo olimpionico di Dnipro – che gli studenti dormono nel vasto rifugio ogni notte. Trascorrono così tanto tempo lì che il rifugio è stato migliorato con una ventilazione potenziata, internet, televisione e banchi di scuola». La situazione non è troppo diversa a Kharkiv, dove nella piscina Lokomotyv gli atleti svolgono i loro allenamenti sotto soffitti improvvisati e finestre distrutte, ritrovandosi spesso nei rifugi antiaerei con i costumi ancora bagnati.

Nonostante i danni e le difficoltà, queste scuole continuano ancora ad allenare i giovani, ma l’abbandono del paese da parte degli atleti d’élite ha forti ripercussioni anche sulla reputazione dei vari centri, costringendo i dirigenti ad abbassare i requisiti di selezione per i nuovi atleti, che devono affrontare anche la pressione psicologica che un simile contesto può esercitare.

Ad andarsene dalle città poi non sono solo gli atleti, ma anche gli allenatori, perché molti di loro sono impegnati al fronte. I ragazzi però non si arrendono e si arrangiano come possono, incontrandosi dopo la scuola per fare attività come boxe, wrestling e persino lezioni di pronto soccorso.

Nel complesso sportivo Boreks di Borodyanka, a nord-est di Kyjiv, ad allenare i giovani pugili di un programma affiliato all’esercito ucraino è proprio un ragazzo di soli quindici anni. «Alla domanda sul perché i pugili si allenano all’aperto – scrivono Longman e Chubko – l’allenatore, che si identifica solo come Donbas, il suo nome di battaglia, ha risposto: “Non c’è posto al chiuso a Borodyanka”».

Gli allenatori scarseggiano anche a livello olimpico e chi continua il proprio lavoro lo fa nelle condizioni più sfavorevoli. «Il principale istruttore ucraino di lanciatrici di peso, Yuri Revenko, ha ottant’anni. Ha detto di aver avuto bisogno di diciotto interventi chirurgici e trattamenti medici per migliorare la sua vista e l’udito dopo essere stato intrappolato per più di un mese a Mariupol, nel sud-est dell’Ucraina, durante un assedio russo all’inizio della guerra. Ora istruisce Olha Golodna, trentadue anni, due volte olimpionica, da una sedia a rotelle». Parlando delle ragioni per cui ha continuato, Revenko ha risposto «Perchè mi tiene vivo».

Le Olimpiadi di Parigi rappresentano una boccata d’aria dall’apnea che da quasi tre anni opprime l’Ucraina. Un’occasione per non pensare all’invasione russa, concedendosi di festeggiare. Ma quando i Giochi saranno finiti tutti dovranno fare i conti con la consapevolezza di dover ripartire da zero. E soprattutto accettare che bisognerà aspettare che la guerra finisca prima di poter ricostruire un intero sistema sportivo, perché il Paese avrà bisogno di scuole, ospedali e fabbriche prima che di palestre. La fine della guerra, però, non sembra essere dietro l’angolo.

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