Deserti italianiIl legame inequivocabile tra il cambiamento climatico e la siccità in Sicilia e Sardegna

Il World weather attribution ha certificato il rapporto tra i due fenomeni. Il lago di Pergusa, destinato a scomparire dalla cartina geografica e dalla memoria dei cittadini, è il simbolo di un territorio in balìa del riscaldamento globale e abbandonato dal governo centrale

LaPresse

Dalla newsletter settimanale di Greenkiesta (ci si iscrive qui) – Il lago di Pergusa è un pittoresco bacino idrico dalla forma ellittica situato a pochi chilometri da Enna, nell’entroterra siciliano. È un lago endoreico, privo di immissari o emissari, alimentato solo dalle acque piovane e di falda. Acque che, per via di un meccanismo naturale di autodepurazione fondato sulla presenza di solfobatteri fotosintetici anaerobi, a volte assumono un colore rossastro o violaceo. Da lì il soprannome “lago di sangue”.

Il lago di Pergusa è circondato da un’aura di fascino e mistero in grado di stimolare la genialità degli scrittori e dei poeti che si studiano a scuola. Ovidio, per esempio, nelle “Metamorfosi” lo definì un luogo di «primavera eterna». Proserpina, secondo il mito, fu rapita da Plutone proprio mentre raccoglieva i fiori sulle rive di questo lago, una piccola oasi di biodiversità. Non a caso, parliamo del cuore di un’area naturale protetta della Regione Siciliana e di un sito di interesse comunitario secondo l’Unione europea.  

Oggi, il lago è una sorta di grande pozzanghera destinata, nella peggiore delle ipotesi, a scomparire dalle cartine geografiche e dai ricordi delle persone, soprattutto quelle più giovani. Alcuni esperti sostengono che il suo destino sia ormai segnato, altri che l’esistenza del lago sia garantita dalla mera presenza della falda. Ma la realtà rimane inquietante. Si tratta dell’eredità della siccità più lunga e violenta nella storia recente della Sicilia, aggravata – per quanto riguarda il lago – da un sistema di monitoraggio impantanato nel malgoverno della Regione e dalla scarsa manutenzione dei depuratori. 

Enna Live / YouTube

«I bacini idrici si sono prosciugati. Le città hanno sopportato mesi di razionamento dell’acqua. Il lago di Pergusa è scomparso. Le colture sono appassite nei terreni aridi. Gli impatti di queste siccità sono stati scioccanti, ma purtroppo si stanno verificando con maggiore frequenza a causa dei cambiamenti climatici», ha detto Maja Vahlberg, consulente sui rischi climatici alla Red Cross Red Crescent Climate Centre. 

Vahlberg è una delle esperte coinvolte in un nuovo studio sul rapporto tra il cambiamento climatico e la siccità in Sicilia e Sardegna, due Regioni in cui il tema dei razionamenti idrici occupa le prime pagine dei giornali locali anche in pieno inverno. La ricerca è stata coordinata dal World weather attribution (Wwa), l’organismo scientifico internazionale che valuta il legame tra gli eventi meteorologici estremi e la crisi climatica di origine antropica.

Si chiama “scienza dell’attribuzione”, una branca della climatologia nata all’inizio degli anni Duemila, contraddistinta da metodologie ancora da affinare ma già certificate da processi di revisione dei risultati condotti da altri esperti in materia. Secondo l’Italian climate network (Icn), questi studi sono «in grado di discernere se a causare eventi estremi come uragani, bombe d’acqua, alluvioni e siccità sia stata la mano dell’uomo con il riscaldamento globale o i naturali cicli del clima». 

Fondato nel 2014 da due climatologi, l’olandese Geert Jan van Oldenborgh e la tedesca Friederike Otto, il World weather attribution ha chiuso più di ottanta ricerche utilizzando la revisione paritaria (peer-review). Il merito è della collaborazione a titolo gratuito di scienziate e scienziati assunti nei più importanti centri di ricerca del pianeta, dall’Imperial college di Londra all’Istituto Pierre Simon Laplace, passando dal Joint research centre di Ispra (Varese) della Commissione europea. Tra le altre cose, i lavori del Wwa sono stati inclusi nel sesto rapporto di valutazione dell’Ipcc, il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici.  

Per certificare l’effetto del riscaldamento globale sulla siccità in Sicilia e Sardegna, i climatologi hanno confrontato i dati meteorologici e i modelli climatici odierni (+1,3°C di riscaldamento globale) con le simulazioni attribuite all’epoca pre-industriale, priva dei cambiamenti climatici attuali. Il periodo di valutazione è cominciato nell’agosto 2023 ed è terminato nel luglio 2024, e l’indicatore utilizzato dagli esperti si chiama Spei, Standardized precipitation evapotranspiration index, basato sul cosiddetto “bilancio idrico”: citando l’Ispra, questa metrica «considera come variabile meteorologica di interesse la differenza tra la precipitazione e l’evapotraspirazione di riferimento». Il Wwa ha parlato quindi di siccità agricola (tiene conto dell’umidità del suolo, dello stress delle piante e così via) e non di siccità meteorologica, definita soltanto dalla carenza di precipitazioni.

worldweatherattribution.org

Secondo i risultati dello studio, la siccità estrema sperimentata da Sicilia e Sardegna tra agosto 2023 e luglio 2024 è stata resa più probabile del cinquanta per cento dai cambiamenti climatici; il riscaldamento globale indotto dall’uomo ha anche avuto un impatto negativo in termini di gravità del fenomeno. Per “gravità” intendiamo le carenze idriche e le perdite agricole che, da più di un anno, mettono in ginocchio due territori sulla via della desertificazione. Secondo le stime regionali, i danni della siccità in Sicilia «hanno riguardato il sessanta per cento delle colture di legumi, il settanta per cento dei cereali e l’ottanta per cento delle foraggere, con alcune segnalazioni di perdite che hanno raggiunto il cento per cento».

«I valori osservati quest’anno per l’evapotraspirazione potenziale (la massima quantità di risorsa idrica trasformabile in vapore dai fattori atmosferici e dalla vegetazione, ndr) e la temperatura sarebbero stati impossibili da vedere senza il cambiamento climatico indotto dall’uomo», recita lo studio. Un altro elemento interessante è stato sottolineato su Facebook da Antonello Pasini, il fisico climatologo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) “censurato” dal Tg1: «Questa intensa siccità è dipesa più dall’aumento di temperatura che non dalla diminuzione delle precipitazioni, che pure c’è stata. Perché è importante aver capito questo? Perché in scenari di riscaldamento globale futuro, mentre c’è ancora incertezza sull’andamento delle precipitazioni, l’aumento di ondate di calore è molto più sicuro e questo pesa tantissimo sulle nostre siccità».  

Stando al World weather attribution, siccità simili peggioreranno «con ogni frazione di grado di riscaldamento in più». Senza il riscaldamento globale, continuano gli esperti, le siccità sulle due isole non sarebbero state classificate come “estreme” (D3). Secondo Luigi Pasotti, co-autore dello studio e dirigente responsabile al Servizio informativo agrometeorologico siciliano (Sias) della Sicilia orientale, «la siccità che oggi classifichiamo come “estrema” (D3) diventerà “eccezionale” (D4, il grado più alto della scala, ndr) se la temperatura globale aumenterà di soli 0,7°C». E non è tutto, perché la ricerca ha citato l’inefficienza della rete idrica – in Italia sprechiamo il 36,2 per cento dell’acqua immessa nelle tubature e il sessanta per cento delle infrastrutture è stato messo in posa più di trent’anni fa – e l’incremento degli ingressi turistici tra i fattori di rischio in grado di aggravare gli effetti di un cambiamento climatico galoppante. 

Come spesso abbiamo scritto su questi canali, non è tutto perduto: il ritmo del peggioramento è ancora nelle mani dell’uomo, che – al netto degli accorgimenti individuali – deve abbandonare rapidamente i combustibili fossili e aiutare le economie più fragili ad adattarsi a questo nuovo mondo. Un mondo non invitante e deturpato dalle attività antropiche, ma pur sempre l’unico a disposizione (in-sharing con tutte le altre specie animali e vegetali).

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