Dalla newsletter settimanale di Greenkiesta (ci si iscrive qui) – Su questi canali ho spesso definito il cambiamento climatico come «l’emergenza più pervasiva della nostra epoca». Si tratta infatti di un tema in grado di stravolgere contemporaneamente diversi aspetti della società: economia, alimentazione, flussi migratori, agricoltura, industria, salute, turismo, trasporti, ma potrei andare all’infinito. È un moltiplicatore delle minacce che affliggono il pianeta. Come scrivevo nella puntata inaugurale di questa newsletter, il riscaldamento globale è subdolo, scivoloso e si insinua in ogni angolo della stanza, perché non è sempre facile da vedere e riconoscere (senza i giusti strumenti, anche informativi, a disposizione).
Questa crisi, perché di crisi si tratta, fuori dalla “bolla” viene spesso concepita come una faccenda da sbrigare in futuro (tipo il sacchetto dell’umido da portare nel locale spazzatura o la Tari da pagare), un’ombra che incombe sul nostro Pianeta ma che non ci riguarda direttamente. Nel dibattito pubblico domina una disarmante, ma non sempre consapevole, minimizzazione del problema.
Negli ultimi giorni, però, è uscita una notizia che potrebbe aiutare a rendere il cambiamento climatico più concreto agli occhi di un’ampia fetta di cittadinanza. È la storia di un confine. Di un confine che si sposta per via della fusione dei ghiacciai, una delle conseguenze più note del riscaldamento globale di origine antropica. Se il clima cambia, cambiano – in un certo senso – anche le cartine geografiche che si studiano a scuola: è qualcosa di potentissimo, se ci pensate.
Il protagonista è il confine tra Svizzera e Italia, che potrebbe essere spostato di cento-centocinquanta metri nella zona del ghiacciaio svizzero del Plateau Rosà (tremilacinquecento metri sopra il livello del mare), compreso nel gruppo del Cervino. La linea si schiaccerebbe verso il nostro Paese, permettendo agli elvetici di guadagnare una porzione di territorio (al governo Meloni non piace questo elemento).
Uso il condizionale perché solo la Svizzera, durante la seduta del 27 settembre del Consiglio federale, ha approvato la firma della «convenzione concernente la rettifica dei confini». L’Italia dovrà fare lo stesso, ma non è scontato che accada. Roma, per dire, non ha mai ratificato l’accordo con Berna dello scorso anno (maggio 2023) che certifica la dinamicità delle frontiere naturali nella zona del Cervino. «Il processo di approvazione della firma della convenzione è attualmente in corso in Italia. Una volta che le due parti l’avranno firmata, la convenzione sarà pubblicata e la rettifica sarà messa in atto», scrive il Consiglio federale svizzero in un comunicato stampa.
Ma quindi cosa c’entra la fusione dei ghiacciai? In alta montagna, lunghi tratti di confine italo-svizzero ricalcano una linea spartiacque (anche detta “displuvio”) rappresentata, in questo caso, dal crinale (la linea immaginaria che unisce i punti più alti di un rilievo) del ghiacciaio. Lo scioglimento della massa congelata ha causato un assottigliamento della linea, spostando sulla cresta della montagna il crinale che anni fa correva lungo il manto nevoso.
Non è solo una questione di pochi metri, perché la vicenda potrebbe avere un impatto socio-economico non trascurabile. In gioco ci sono i rapporti diplomatici tra Svizzera e Italia, oltre al destino di un’attività economica (il Rifugio delle Guide Alpine potrebbe diventare svizzero, scrive Repubblica) e del progetto di una funivia sul versante italiano. È una storia che, nel suo piccolo, riassume in modo esaustivo la pervasività del riscaldamento globale, travestito in questo caso da confine che si sposta, fa litigare due Paesi e tiene col fiato sospeso rifugisti, imprenditori, politici e operatori turistici. Il Plateau Rosa, ricordiamo, ospita il comprensorio sciistico estivo più grande e alto d’Europa, contraddistinto da più di venti chilometri di piste. Secondo la Stampa, però, da questo punto di vista non ci sono problemi: «Gli impianti italiani restano all’Italia, quelli svizzeri alla confederazione elvetica».
Stando alle proiezioni della comunità scientifica internazionale, lo spostamento del confine italo-svizzero potrebbe essere l’antipasto di una storia molto più ampia. L’Europa, infatti, è il continente che si sta riscaldando più rapidamente, con un incremento delle temperature pari al doppio della media mondiale; i ghiacciai alpini, sottolinea il servizio meteorologico Copernicus, hanno perso il dieci per cento del loro volume negli ultimi due anni.
Mentre in Asia il monte Everest, complice l’erosione causata dal fiume Arun, continua lentamente a crescere, in Europa il monte Bianco si è ridotto di oltre due metri in due anni. Secondo uno studio dell’Università di Losanna, pubblicato sulla rivista Geophysical research letters, le masse di ghiaccio dell’arco alpino sono destinate a perdere il quarantasei per cento del loro volume entro il 2050 (sessantacinque per cento nel peggiore dei casi, trentasei per cento nel migliore dei casi).
Tutto ciò potrebbe avere un impatto diretto sui confini dei Paesi dell’arco alpino. E lo stesso rischia di avvenire con le altre frontiere naturali della Terra, come i fiumi prosciugati da siccità sempre più lunghe e strutturali. Il cambiamento climatico è una minaccia che non conosce linee di separazione stabilite a tavolino dall’uomo o da Madre Terra, e sta raggiungendo il livello successivo: ridisegnare i confini e cambiare la geografia.