Il discorso di insediamento della prima presidenza Trump, nel 2017, è passato alla storia per l’«American carnage». La carneficina americana. Quella delle madri e dei bambini «intrappolati nella povertà nei nostri centri urbani», quella delle «fabbriche arrugginite sparse come lapidi nel paesaggio della nostra nazione», quella delle gang e della droga «che hanno rubato troppe vite», e che Donald Trump prometteva di fermare, una volta per tutte.
Il discorso di insediamento della sua seconda presidenza, che si terrà oggi alle 12 (le 18 in Italia), minaccia di evocare piuttosto una carneficina europea. Quella che il presidente americano intende promuovere attivamente contro le istituzioni, gli avversari politici e le imprese concorrenti del vecchio continente, ma soprattutto contro l’idea stessa di un ordine internazionale basato su regole e principi, sia pure non sempre scrupolosamente e coerentemente osservati, di cui i paesi europei sono stati finora i maggiori beneficiari.
La lista degli invitati alla cerimonia parla da sola. L’edizione europea di Politico l’ha definita «un Who’s who globale dei populisti di destra». Da sempre, all’inaugurazione di una presidenza, rito tradizionale della politica interna americana, presenziavano i diplomatici, non certo capi di stato o di governo.
Trump ha invitato il leader della Cina comunista Xi Jinping, che manderà il suo vice, il presidente argentino Javier Milei, trumpiano della prima ora, e il padre della Brexit Nigel Farage, che in Gran Bretagna non ha alcun ruolo istituzionale di qualche rilievo, mentre non sorprendentemente si è ben guardato dall’invitare il premier Keir Starmer, bersaglio di una campagna di odio senza precedenti da parte di Elon Musk su X (fu Twitter).
Il caso più eclatante riguarda però l’Unione europea. Gli unici due leader invitati sono infatti il primo ministro ungherese – e cavallo di Troia putiniano nell’Ue – Viktor Orbán, che peraltro non andrà, e la nostra presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che invece ci andrà eccome (non foss’altro per far scoppiare di rabbia Matteo Salvini, che ha tentato di imbucarsi in ogni modo).
Nemmeno un Whatsapp dell’ultimo minuto è stato mandato invece alla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, che dopo avere spalancato a Meloni le porte della maggioranza, facendo il doppio e il triplo gioco con gli altri partiti che la componevano, si vede ora ripagata con la giusta moneta. Nonostante il suo «silenzio assordante» davanti al «tornado Trump-Musk» stigmatizzato da Philippe Bernard.
Secondo l’editorialista del Monde «la rabbia di Elon Musk e Mark Zuckerberg nei confronti delle normative europee sulla moderazione dei contenuti e sulla concorrenza suggerisce tuttavia che l’Europa, se supera le sue divisioni e mantiene la sua posizione, ha un mezzo per affermare la sua specificità sostenendo un Web “civilizzato” e umanizzato». Vaste programme. Le premesse, finora, non sembrano incoraggianti, considerando la divisione dell’Ue a fronte di un presidente americano che non esita a suonare l’adunata di tutti i suoi nemici interni.
Nel 2017, come ricorda oggi Charles Kupchan in un’intervista al Corriere della sera, «c’era Steve Bannon che cercava di costruire un’alleanza populista internazionale», mentre adesso è Musk a tentare «la stessa operazione». Va anche detto, ma questo lo aggiungo io, che l’avventura politica di Bannon finì, sia pure non per molto, nelle patrie galere. Con Musk temo che non saremo così fortunati.
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