Il governo di Israele ha deciso di congelare l’ampliamento di nuovi insediamenti in Cisgiordania, una condizione posta a Gerusalemme da Barack Obama e, prima di lui, dagli ultimi presidenti americani. Un tempo il mondo intellettuale e la sinistra occidentale chiedevano insistentemente a Israele di ritirarsi dai “Territori” occupati in seguito agli attacchi subiti dal mondo arabo nel 1967 e, di conseguenza, giudicavano l’occupazione militare sionista come la causa principale del conflitto mediorientale. Dopo l’ennesimo rifiuto palestinese a siglare un accordo di pace nel 2000 e la successiva sanguinosissima Intifada scatenata dagli uomini di Yasser Arafat, nel 2005 l’allora premier israeliano Ariel Sharon, uno con la fama da duro, quel passo clamoroso lo ha compiuto, lasciando Gaza e la Cisgiordania al controllo palestinese. Non solo non è cambiato l’atteggiamento di fondo anti israeliano della leadership palestinese, ma con un’acrobatica giravolta intellettuale una buona parte della sinistra occidentale ha continuato ad accusare Israele, questa volta per essersi ritirata troppo presto e senza averlo concordato con gli arabi.
Ma ora c’è di più. L’ultima moda della sinistra occidentale è criticare, dalle prestigiose pagine del New York Times, del Guardian e della New York Reviews of Book, la cosiddetta “soluzione due popoli-due stati”, l’antico slogan di chi un tempo accusava Israele di voler impedire la nascita di uno stato arabo accanto a sé. In realtà, Israele è l’unico paese della regione ad aver condiviso fin dall’inizio la risoluzione delle Nazioni Unite del 1947 che divideva l’ex mandato britannico della Palestina in due stati, uno ebraico e uno arabo. I paesi arabi non solo non hanno accettato la nascita di Israele, dichiarandogli guerra il giorno successivo, ma non hanno mai voluto creare uno stato palestinese.
Da quando il presidente americano George W. Bush, subito seguito da Barack Obama, si è impegnato a sostenere direttamente l’idea dei due stati, a sinistra è cominciato un imbarazzante processo di revisione, ben visibile sui giornali internazionali proprio adesso che anche Bibi Netanyahu ha confermato la sua disponibilità a far nascere uno stato palestinese accanto a quello ebraico.
Questa intellighenzia liberal, guidata da stimati professori come Tony Judt, non vuole più i due stati. Molto meglio, spiega, puntare a un unico stato. Ovviamente a patto che Israele rinunci al suo carattere di stato ebraico. “Il problema – hanno scritto Hussein Agha e Robert Malley sul Times e sul Guardian – non è mai stato quello di definire lo stato di Palestina. E’, ed è sempre stato, come definire lo stato di Israele”. Cioè, come sbarazzarsene.
19 Agosto 2009