Mi colpiscono sinistramente le frequenti invocazioni al pensiero sistemico di cui molti commentatori si fanno portatori. Pensare sistemico per rifuggire all’ individualismo esasperato e contrapporsi a un bìeco neo-stalismo strisciante che pervade l’ immaginario tutto del corpo sociale dei paesi occidentali e sub occidentali. Ossia quelli che immediatamente circondano l’ Europa e che di essa portano i segni coloniali più recenti (la rivolta composita ma infinita del Nord Africa insegna).
Il problema, tuttavia, non è solo di immaginario collettivo. Sono venuti al pettine i mali profondi e perversi di venti e più anni di neo liberismo dispiegato e incontrollato che ha colpito al cuore la stessa riproducibilità della società. La disoccupazione strutturale di lungo periodo condanna intere generazioni: quelle presenti e quelle future. Un problema che per la prima volta nella storia mondiale investe anche le classi medie e medio alte che si vedono obbligate, per consentire il mantenimento dei figli e la riproduzione dei patrimoni, a investirne larghe parti, di quei patrimoni, nella creazioni di occasioni di lavoro per i figli medesimi.
Occasioni estranee al mercato e alla competizione per occuparli in qualche modo quei benedetti eredi di una ricchezza che via via va liquefacendosi. Per questo s’innalza l’ età del matrimonio delle donne e la loro fertilità si riduce e quindi il calo demografico è lo spettro che s’ aggira per l’ Europa e tra i paesi sub occidentali. E senza incremento demografico non c’ è verso di avere la crescita. Alte tasse e bassa natalità sono i fattori decisivi per impedire qualsivoglia tipo di crescita. Se a ciò aggiungiamo tecnologie che risparmiano lavoro e blocchi gerontocratici nella circolazione sia delle elite dominanti sia dei ceti popolari, ecco la società che si decompone.
Siamo dinanzi, infatti, alla decomposizione: né alla decadenza , né al declino. E’ molto peggio. Di qui l’ anomia sociale, ossia il rifiuto di ogni valore morale, nella disperazione cupa e solitaria ( e sono gli “indignatos” che manifestano un nichilismo di massa), oppure il risorgere di un neo conflitto sociale che ha paradigmi completamente imprevisti, fondati su comunità di pari mossi alla rivolta contro il liberismo e la proprietà privata. Rivolta che può avere esiti dolorosi e drammatici. E non si tratta solo di terrorismo. La prova di ciò risiede in una nuova malattia strisciante nel corpo sociale di tutto l’ Occidente. E gli USA rendono manifesto questa malattia forse più dell’Europa, Una malattia che si chiama eccesso da stress e dimenticanza dei doveri primordiali per la riproduzione sociale. La paura della precarietà , il parossismo dei ritmi e della competizione del e nel lavoro provoca due malattie sociali sempre più diffuse: il suicidio sul, nel e per un lavoro disumanizzante; la perdita della consapevolezza dei valori fondanti la vita sociale. La protezione della prole è il più importante di questi: essere padri e madri dovrebbe obbligare moralmente, sempre, in ogni momento, all’ esercizio dei doveri verso il debole infante che ai genitori è affidato dalla tradizione della specie.
Negli USA i casi di abbandono dei figlioli in roboanti autovetture sotto un sole implacabile è così diffuso da promuovere dibattiti giuridici sulle colpe da infliggere ai genitori “colpevoli”. “Di che cosa?” Si sono chiesti molti giudici nord americani, in alcuni casi assolvendoli, quei genitori distrutti dal doloro e dalla perdita della obbligatorietà alla riproduzione sociale. Avevano perso ogni controllo dell’ Io ed erano sprofondati in un Sé dominato da uno stress incontrollabile e distruttivo per via della paura di non poter adempiere agli obblighi di una macchina di prestazioni lavorative sempre più esigente e sempre più lontana dall’ umano. Invece è proprio di un rinascimento dell’ umanesimo giudaico-cristiano ciò di cui abbiamo bisogno, in un mondo che perde ogni tratto compassionevole.
Giulio Sapelli