Quello che non c’èQuello che non c’è: violenza

Quante volte avrei voluto esplodere un grido che trasportasse lontana tutta la melma che sembrava tenere impantanato questo pianeta, quante volte ho desiderato poter prendere a pugni sui denti gli ...

Quante volte avrei voluto esplodere un grido che trasportasse lontana tutta la melma che sembrava tenere impantanato questo pianeta, quante volte ho desiderato poter prendere a pugni sui denti gli esseri umani che se ne fottono del rispetto del prossimo, quante volte avrei lanciato una bottiglia in faccia allo spocchioso di turno sul palco impegnato a dettare mode di pensiero, quante volte avrei dato fuoco alle auto per le strade come fossero ostacoli per i miei occhi, quante volte avrei rovesciato gli scaffali dei negozi in cui si svolgono le rapine ai danni del cliente, quante volte avrei voluto poter spaccare il vetro che mi separava dal bancario che non voleva darmi i miei soldi, guadagnati col mio tempo e la mia fatica, solo perchè stavano scritti su un assegno io non ho un conto ma ho una folta barba, quante volte avrei voluto gridare nelle orecchie di chi non sente ragioni fino a farle sanguinare, quante volte avrei spazzato via i dehors, dato fuoco all’immondizia accumulata per le strade, sfondato i vetri di chi la puzza la porta sotto il naso, preso a sberle i docenti universitari che non avevano tempo, a calci nel culo la gente che mi piscia sotto casa, quante volte ho dovuto soffocare questi istinti, con grande fatica, arrabbiandomi, frustrandomi, avvilendomi.

Una volta ho spaccato un sopracciglio a un tipo, era proprio antipatico. L’ho fatto con immensa soddisfazione. Giorni dopo, consumato dal senso di colpa, l’ho avvicinato per chiedergli scusa, mentre lui staccava uno specchietto da un’automobile parcheggiata. Allora gli chiesi scusa ma gli dissi di non fare quel che stava fa… lui mi ha mandato a quel paese e ha strappato via lo specchietto. Amen. Il mio senso di colpa scomparve.

Un’altra volta ho rotto con un calcio la bicicletta di una donna che stava imprecando contro mio padre. Lo feci con assoluta convinzione. Di fronte alle ragioni della donna che alle 7 del mattino tornava dal turno in ospedale, mi sentii il più fetido degli uomini.

Insomma, le uniche volte che mi sono sentito in pace con me stesso anche a distanza di anni, sono state quelle in cui sono riuscito a evitare che esplodesse, la violenza. Anche quella volta che son riuscito a trattenermi dal prendere a cazzotti un saccente intellettuale a cui non piace perdere i premi.

A monte, direbbe il mio inadeguabile amico Andrea. Dopo anni e anni di negazione del futuro e rancori iniettati nei nostri apparati circolatori dalle demagogie di destra e di sinistra, non so quanto si possa condannare il disastro di Roma, 15 ottobre 2011. A meno che invece che puntare un dito verso i facinorosi, non lo puntiamo verso noi stessi. Non lo so perchè per quanto sono arrabbiato con questa Civiltà intera, faccio davvero fatica a controllarmi, contenermi, ed è una pratica che sono riuscito a sviluppare in anni e anni di scatti isterici e nervosi e violenti sopiti, e quindi temo che chi ha ancora la rabbia giovane in corpo, di fronte alla battaglia, vi si getti. Dando indubbiamente prova di immaturità, bambinelli cattivi troppo cresciuti, forse, a cui il pamphlet Indignatevi non è riuscito a inculcare la non-violenza. Ma sono anche schiere di giovani che si sentono non-vivi, perchè nonostante crescano nella bambagia dei telefonini e del wi-fi e dell’happy hour e del design e dell’afterhour, vengono ipnotizzati dalla litania funebre del “tutto vi è negato giovani”. E la battaglia in fin dei conti diventa un gioco che scotta: per qualcuno è quel fronte che costringe a dare risposte, per altri è un finesettimana alternativo, estremo, da raccontare. Non vince e non perde nessuno; non le da e non le prende nessuno; se han tutti ragione, nessuno ha ragione. Se non si sa più che fare, cosa sia giusto fare, sembra giusto fare qualsiasi cosa. E tutto resterà uguale a se stesso, fossile di un’epoca decadente.

Quello che non c’è è qualcosa di disumano nella violenza: è umana, troppo umana. Quello che non c’è nella violenza, invece, la maggior parte delle volte, è un’utilità.

POST SCRIPTUM Sabato notte, al Leonkavallo, in chiusura non annunciata i buttafuori del “centro sociale” hanno cacciato via in malo modo il pubblico pagante (7 euro) del concerto. Per cacciato via in malo modo intendo dire: con scortesia, brutte parole, spinte. Un membro dei Kalashnikov, headliners della serata, è tornato a casa con un labbro spaccato e il naso gonfio per i cazzotti. Questa è una violenza che mi lascia sbigottito. Ma spero di farla raccontare a chi era presente.

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