Il governo inglese è in guerra con la FIFA, il governo del calcio. Motivo del contendere le magliette che la nazionale di Fabio Capello vorrebbe indossare questo week end per la partita contro la Spagna: i britannici in questi giorni festeggiano il Remembrance Day, il giorno in cui ricordare i caduti in guerra non solo del Regno Unito, ma del Commonwealth in generale. Ufficialmente cade l’11 novembre, mentre questa domenica il Primo ministro, il leader dell’opposizione e le alte cariche dello stato accompagneranno il sovrano all’Epitaph che sorge in Westminster per rendere omaggio ai morti, posando alla base del monumento una corona di papaveri. I Poppy Days: papaveri ovunque, appuntati sul vestito, sulle home page e nelle testate dei quotidiani, chiunque o qualunque cosa abbia una rilevanza pubblica, non manca di ricordare l’appuntamento.
Ma la FIFA ha detto di no, che il poppy sulla maglia dell’Inghilterra non va bene e nemmeno su quella del Galles, perché in questo modo si verrebbe meno alle regole stabilite, si creerebbero precedenti, bla bla bla. Lo scorso fine settimana, i club dalla Premier all’ultima delle Division hanno spedito in campo i loro giocatori con le proprie magliette ornate di papaveri, a ricordare le distese sul fronte occidentale della Prima guerra mondiale colorate dal rosso dei fiori in questione e del sangue dei figli dell’Impero.
Così recitano i primi versi della poesia “In Flanders Fields” composta nel 1915 dal colonnello canadese John McCrae:
In Flanders fields the poppies blow
Between the crosses, row on row
That mark our place; and in the sky
The larks, still bravely singing, fly
Scarce heard amid the guns below.
E’ accaduto anche nel rugby e la memoria non inganna: perché quest’anno si sono da poco chiusi i Mondiali e i Test Match novembrini sono saltati, ma solitamente le nazionali dello United Kingdom e delle colonie che ad esso appartenerono si presentano con il papavero assieme al simbolo delle federazione (foto), mentre una corona viene posta tra le due squadre schierate durante l’inno. Anche sulla divisa degli All Balcks risalta il rosso nelle prime settimane di novembre. Nessuno ha mai fatto storie, tanto meno la International Rugby Board.
Più volte abbiamo celebrato la nobiltà della palla ovale e l’abbiamo descritta – metaforicamente – come una battaglia di trincea: la linea del Piave, le bombarde al piede, i colpi di mortaio dalla distanza – leggi i drop alla alla sudafricana -, gli esploratori fuori dai raggruppamenti, le teste di ponte che vanno all’assalto della trincea avversaria, i tank della prima linea, la cavalleria dei trequarti. Abbiamo rammentato il valore intrinseco di questo sport: il sostegno, quanto mai fondamentale quando ci si ritrova in su un vero terreno di scontro. Il compagno che protegge le spalle, che ti para il culo, il tenente che ti insegna come sopravvivere. Nell’immaginario comune, la Grande guerra è più che ingiallita: è più probabile che ci si ricordi della Seconda guerra mondiale piuttosto che di quella del ’14-’18. In Italia, il 4 novembre è stato “trasformato” nella festa dell’Esercito e dell’Unità. Una volta era quella dei Caduti.
I morti nei conflitti nella storia contemporanea provocano qualche prurito di troppo. Il board che gestisce il gioco più diffuso al mondo ha stabilito che la nazionale inglese non possa ricordare i propri. Il mondo ovale fortunatamente non è ancora del tutto contagiato dalla vulgata di politically correctness.
(via rightrugby)