In un sol giorno due provvedimenti laici. Ma laici davvero, di quelli che dicono che la chiesa è naturalmente libera, e lo stato è costituzionalmente sovrano. Non succede in Svezia, in Norvegia, in Francia. No no. Succede in Italia. Succede nell’epoca di Mario Monti, e per sua espressa volontà per quanto riguarda le nuove misure fiscali che riguarderanno gli immobili ecclesiastici.
Non è poco, ed è segno dei tempi che cambiano, e di una politica che – recuperata senza passare dalle urne qell’autorevolezza che gli eletti tante volte hanno mostrato di non avere – si relaziona a un paese e ai suoi interessi. Interesse del paese, dunque, è risparmiare soldi e tempo, all’interno di quel calvario umano e sociale che, spesso, è il divorzio. E allora perchè non accellerare, a determinate condizioni, la procedura che porta allo scioglimento del divorzio civile, fermi e intatti, ovviamente, i caratteri del sacramento cattolico per chi ci crede? Già, perchè? Non c’era un motivo razionale, a meno di non credere – come mostra di fare oggi Maurizio Lupi, ciellino del Pdl – che lo stato debba complicare la vita a chi ha già deciso di divorziare, per fargli cvapire che rimanere sposati controvoglia è meglio. Non c’era un motivo razionale, laico, e c’erano molti controargomenti economici, ed è di questi che il governo si è curato e occupato. Il cammino della legge è ancora lungo, ed è tutto in mano al parlamento: ma non è certo un caso se è oggi, e non sei mesi fa, che il parlamento si sente libero di parlarne, di votare, di mandare avanti una regola di semplice civiltà.
E perchè la Chiesa doveva essere esentata dalle tasse sugli immobili a funzione (anche solo parzialmente) commerciale e laica? Qui il discorso si fa senza dubbio più complesso, le obiezioni affondano le loro radici nella storia italiana e nella funzione sociale (innegabile) che la Chiesa ricopre in tanti pezzi di paese, che lo stato ha – per dolo o colpa – abbandonato a se stesso. Resta il fatto, però, che in una stagione in cui tutti dovevano e devono tirare la cinghia, in un’epoca di potere di acquisto calante e di imprese e famiglie stremate, quella posizione di differenza diventava difficilmente sostenibile e difendibile. Come spiegare a un imprenditore onesto, che pur di non licenziare tira la cinghia e continua a bussare invano alle banche mentre lo stato non gli paga le commesse, che la Chiesa non deve pagare le tasse? Come dire a una famiglia che fa fatica che per lei non ci sono sgravi, ma se vuole c’è l’oratorio che può darle una mano?
Sarebbe tempo perso, e comprensibilmente. Meglio far pagare le tasse alla Chiesa, e promettere un fisco meno iniquo a tutti gli altri. Il piatto principale è questo, condito da quella malizia politica che il Professor Monti ha già imparato, o forse sa da sempre, come fosse il “vecchio democristiano” che Gerardo Bianco vede in lui. Ha lasciato per giorni che Casini – l’ultimo vero Dc con tanto di scudo crociato cucito addosso – attaccasse le lobby che frenano la modernizzazione e la liberalizzazione, per poi fare un provvedimento che, ragionevolmente, potrà essere raccontato come avversario della “lobby vaticana”. Ha calcolato, soprattutto, che l’Italia è matura per questi passaggi, e che la società del nostro paese è più laica e complessa di quella che per anni abbiamo visto affrontarsi nel salottino di Bruno Vespa, dove una Daniela Santanchè ci spiegava le radici cristiane dell’Europa, o qualche peones del Pdl sbraitava che “nessuno si era mai permesso di dire che non è d’accordo col Santo Padre!”.
Il cattolicesimo è una cosa seria, la Costituzione italiana pure, e il bisogno di equilibrio nei conti anche. Mario Monti lo sa e vuole tirare dritto. Onore a una scelta di coraggio e libertà intellettuale.