«Con tutto il rispetto, voi non siete a un tiro ti schioppo dal vostro peggior nemico e dalle sue bombe atomiche. Decidiamo noi quando, come e chi attaccare. Soprattutto quando è in gioco l’esistenza stessa d’Israele». Raccontano che a un certo punto Benjamin Netanyahu, premier d’Israele, non ce l’ha fatta più. E così, dopo due ore di colloquio drammatico con il Consigliere americano sulla sicurezza nazionale Tom Donilon, ha sbottato. E ha annunciato quel che da giorni si sapeva e si diceva tra i corridoi del governo: Israele continua a considerare gli Usa come partner strategico di primo livello, ma ora quel che conta è annientare il pericolo iraniano. Con o senza le bombe. Con o senza gli americani e la comunità internazionale.
«Siamo stanchi dei vostri continui tira e molla», avrebbe detto Netanyahu all’interlocutore diretto della Casa Bianca. «Non è questione di diplomazia: qui o l’Iran smette con il suo programma nucleare e le minacce nei nostri confronti o non potremo far altro che intervenire militarmente». A quel punto, stando ai pochi presenti, il consigliere Donilon avrebbe accennato un sorriso, avrebbe stretto la mano al primo ministro e se ne sarebbe tornato dritto a Tel Aviv a riferire tutto a Washington.
L’incontro è avvenuto la sera di domenica 19 febbraio. Due ore di colloquio «burrascoso» tra l’emissario di Obama e – per dirla con un consigliere americano – «un acrimonioso Netanyahu». La notizia, a dire il vero, è filtrata prima a Washington. Poi è rimbalzata a Gerusalemme. Dove, però, l’ufficio stampa del premier dello Stato ebraico ha smentito il faccia a faccia sia mai avvenuto.
Secondo l’indiscrezione, l’amministrazione americana starebbe puntando su una «soluzione condivisa della crisi». Niente attacco militare, colloqui sempre più serrati (magari in un posto “neutro” come Istanbul), serie di sanzioni e magari anche qualche concessione. Una politica di «appeasement» che non sarebbe affatto piaciuta a Netanyahu. Tanto che il premier israeliano avrebbe tirato in ballo la Seconda guerra mondiale, l’atteggiamento «accomodante» di Regno Unito e Francia prima dello scoppio del conflitto e «le conseguenze catastrofiche, guarda caso, per il popolo ebraico». «Mentre voi prendete tempo – avrebbe urlato il primo ministro al consigliere americano – a Teheran continuano a fare quel che gli pare».
Per Netanyahu sono due i problemi da risolvere al più presto: l’arricchimento dell’uranio per mano iraniana «dal 20%, come minimo, fino al 90%» e il trasferimento del materiale nei depositi sotterranei (soprattutto nei pressi di Fardu, a pochi chilometri da Qom). «Non possiamo permettere che Teheran arricchisca e nasconda il suo uranio, per questo è valida qualsiasi opzione, anche quella militare», avrebbe continuato Netanyahu. Che, a questo punto, avrebbe anche puntato il dito contro gli Usa e la loro speranza «vana» di fermare «i progetti folli degl’iraniani». «Anche se dovessimo sederci a un tavolo, la Repubblica islamica userà il tempo per lavorare ancora di più per costruire la bomba atomica».
Il giorno dopo, lunedì 20 febbraio, il consigliere Donilon ha incontrato il ministro della Difesa Ehud Barak. Di certo non una colomba, secondo i bene informati. Se è vero che, da un mese a questa parte, sarebbe il più grande sostenitore – all’interno del governo – dell’opzione militare contro l’Iran. Anche a Barak Donilon avrebbe ripetuto le stesse cose dette a Netanyahu. Mentre il ministro della Difesa ha ricordato – con fastidio – «l’operazione mediatica americana volta a farci desistere dall’intervenire contro Teheran».
Ecco, a proposito di informazione statunitense. È vero quel che dice il ministro Barak: negli Usa c’è un gran vociare di giornalisti, analisti ed esperti militari. La maggior parte spinge per la carota, piuttosto che per il bastone. Alla Cnn, il generale Martin Dempsey, il numero uno delle forze armate americane, ha detto che, «Israele ha sì la capacità di colpire l’Iran, ma – nello scenario più ottimistico – può rallentare i lavori sull’uranio fino a un massimo di due anni. E, francamente, ritengo che certi obiettivi militari dello Stato ebraico siano fuori dalla portata delle armi a disposizione». Mentre sul New York Times certi esperti mettono in dubbio la capacità dei jet israeliani «di raggiungere l’Iran senza dover richiedere un’operazione delicatissima come quella del rifornimento in volo». Insomma: secondo gli americani Israele non avrebbe la capacità di far male alla Repubblica islamica.
Sullo sfondo dei colloqui falliti tra Usa e Israele, si muovono tre fronti, altrettanto interessanti. Il primo, già in atto, è quello degl’ispettori dell’Aiea (Agenzia internazionale dell’energia atomica): gli emissari sono sbarcati a Teheran per «chiarire le “zone d’ombra” del programma nucleare iraniano e i suoi obiettivi». È il secondo tentativo in meno di un mese. Gli esperti chiederanno anche di sentire gli scienziati che compaiono in una lista di nomi arrivata all’Aiea e che occuperebbero posizioni importanti all’interno del progetto atomico.
Il secondo fronte è quello russo. Da un lato il generale Nikolai Makarov ha detto che un eventuale attacco israeliano contro l’Iran «non potrà che avvenire con il coordinamento di alcuni governi». E la decisione, sull’intervento militare, «sarà presa entro l’estate». Poco dopo, la Russia ha richiamato in patria – e senza dare spiegazioni – la portaerei “Ammiraglio Kutznetsov”, ancorata al porto siriano di Tartus.
Il terzo fronte è quello iraniano. Da un lato, il Paese ha sollecitato domenica «una rapida ripresa delle trattative sul nucleare con l’Occidente». Dall’altro, ha annunciato il blocco delle forniture di petrolio alla Gran Bretagna e alla Francia dopo il voto europeo sulle sanzioni. Non solo. Ha minacciato di tagliare i rifornimenti anche a Italia, Spagna e Grecia. Secondo i calcoli dell’Agenzia internazionale dell’energia, nel 2011 il 13% del petrolio arrivato nel nostro Paese era “made in Iran”.
[nelle foto in alto: il premier israeliano Benjamin Netanyahu; sotto, il consigliere americano per la sicurezza nazionale Tom Donilon nello Studio Ovale e, di spalle, il presidente Usa Barack Obama]