Carlos Díez provoca la moda spagnola a Madrid facendo sfilare in passerella le donne con baffi finti (rievocando in qualche modo l’immagine dipinta di Frida Kahlo) e gli uomini con le gonne, lasciando agli spettatori libertà di interpretazione sul significato sotteso a tale decisione.
Se come donne per una volta non siamo qui a denunciare la denigrazione del corpo femminile intesa nel senso cui siamo abituate, come sostenitrici dell’equa parità tra i generi ci soffermiamo sull’accaduto, nel tentativo di comprendere il gesto dello stilista.
Una donna con sembianze maschili e un uomo femminilizzato: volontà di sfumare i contorni che separano il genere femminile da quello maschile? O una mera provocazione ideata a scopo pubblicitario? Le due ipotesi sono entrambe valide, non sarebbe di certo la prima volta che si propone un modello maschile di donna (riflesso posticcio, non a caso ottenute attraverso i baffi, di quel potere patriarcale tanto desiderato e non raggiungibile senza acquisire sembianze maschili) e una femminilizzazione dell’uomo (legata alla sfera dell’io sentimentale appreso dal lato femminile, simbolizzata attraverso la gonna).
Che si cerchi, anche, di affermare che la contemporaneità è caratterizzata da un concetto diverso di genere? Ovviamente, in tal caso, non ci si riferisce alle identità sessuali, si tratta, forse, di qualcosa più legato alla società in genere che alla sfera sessuale individuale: una contaminazione positiva che mescoli i tratti migliori dell’essere umano. La provocazione mediatica, infine, è vera qualsiasi sia stato l’intento dello stilista, scelte insolite (legate al campo semantico della sessualità) offrono, infatti, la possibilità di ottenere un’eco amplificata.
Posto che è difficile stabilire con certezza la volontà di Díez, due considerazioni sono d’obbligo. La prima è conseguenza di una mia stessa affermazione: la maschilizzazione conduce al potere, la femminilizzazione al sentimento (o peggio ancora sentimentalismo!). Come sempre, all’uomo sono associati concetti di dominio e forza mentre la donna è caratterizzata dalla debolezza. Ma dopo quasi due secoli di battaglie per la parità, dobbiamo ancora leggere la questione in questo senso? Potremmo ancora lasciare che il pubblico interpreti l’accaduto come un omaggio al genere femminile, considerando il processo di maschilizzazione esaltazione di una donna rafforzata per osmosi con il genere maschile? Sfortunatamente, pur non volendo, credo proprio di sì. Basti pensare che, mentre qui annoto le mie analisi ripetitive, Word mi segnala l’errore sulla parola ‘maschilizzazione’ mentre considera corretto utilizzare il termine ‘femminilizzazione’. Perché? Sembra quasi che il processo non possa essere bilaterale-orizzantale, bensì esclusivamente unilitarale-verticale: a un uomo è consentito anche linguisticamente, perdere un po’ di sé (anche se sarà biasimato) per acquisire un po’ dell’altro, mentre alla donna no.
La seconda considerazione riporta il discorso entro i confini italiani. La notizia è riportata oggi a margine da La Repubblica, chiedo: perché l’eminente testata scrive «Madrid, baffi finti in passerella. […]abiti femminili, baffi finti, volti androgini delle modelle» senza esplicitare che Carlos Díez in perfetta ed esemplare par condicio ha fatto indossare all’uomo abiti femminili?
Personalmente ritengo che lo stilista abbia voluto semplicemente giocare sulla sfumatura tra i due sessi e, anche se il suo messaggio potrebbe considerarsi denigrante perché insidia l’idea che i generi per migliorare abbiano bisogno di contaminazioni, non giudico per nulla shockante il gesto di Díez, perché a suo modo ha delineato un’immagine di equità ponendo l’ambiguità su un piano veramente paritario. Un do ut des tra sessi che risulta molto più democratico del diffondere una notizia a metà ma che, forse, proprio per il fatto di essere egualitario non fa notizia.
La scelta italiana, invece, è stata semplice conseguenza dello stato in cui verte il dibattito sulla questione femminile in Italia. Parlare di sola maschilizzazione della donna rende la notizia di maggior interesse, ma, in questo caso, delineare che tra generi ci si possa contaminare paritariamente (non fermandosi, ovviamente, all’aspetto esteriore) avrebbe potuto rappresentare un messaggio di speranza per le donne: la reciprocità tra i sessi, non la subordinazione, sarà il tratto del futuro e le donne finalmente faranno la loro parte.