«Puzzano». «Si prendono i posti sui pullman». «Occupano i pochi appartamenti liberi». «Soprattutto: chissà quali malattie possono trasmettere». Corsi e ricorsi nella Tel Aviv d’oggi. Che, a leggere certe cose, sembra la Louisiana di ieri. Quando i neri non erano persone, ma braccia e schiavi e servi e animali.
Solo che in questo 2012, quando tutti gli occhi d’Israele sono rivolti all’Iran e alle sue navi militari che si dirigono verso il Mediterraneo, Benjamin Babayoff, consigliere comunale di Tel Aviv del partito ultrareligioso “Shas”, prende carta e penna e scrive all’assessore cittadino ai Trasporti, al traffico e al parcheggio, al sindaco Ron Huldai e al ministro dei Trasporti Israel Katz poche frasi, ma destinate a scatenare le organizzazioni antirazziste.
La lettera è finita sul web, sulle pagine locali della piattaforma Ynet. Scrive Babayoff: «Vi mando questa comunicazione al massimo della disperazione per denunciare il crescente disagio che subiscono i nostri concittadini ogni volta che vanno a lavorare. Migliaia di lavoratori stranieri e clandestini riempiono i pullman, occupano i posti a sedere, lasciano in piedi i nostri abitanti. Per non parlare della puzza che emanano e del lavoro extra che gl’israeliani devono fare per togliere il cattivo odore dalle scale e dai marciapiedi. Dio non voglia, ma questi potrebbero benissimo portarci delle malattie». Non solo. Babayoff denuncia anche l’emergenza abitativa. «Quasi tutti gli appartamenti liberi a sud di Tel Aviv sono stati occupati dagli immigrati. I nostri concittadini restano così senza un tetto».
Quindi le proposte. Peggiori delle lamentele. «Per risolvere il problema – continua il consigliere ultrareligioso – bisognerebbe istituire bus separati per i lavoratori stranieri e per i rifugiati. Se non si può fare questa cosa, allora bisognerebbe porre un limite al loro ingresso nei mezzi di trasporto pubblico negli orari di punta per i nostri lavoratori, ovviamente dando preferenza ai connazionali». Precisa, però, Babayoff che «la lettera non ha un intento razzista. Vuole soltanto andare incontro alle richieste esasperate dei concittadini».
L’unica risposta ufficiale per ora è arrivata dallo staff del sindaco di Tel Aviv. «Condanniamo qualsiasi intervento o atteggiamento razzista. Questo Comune continuerà a impegnarsi per garantire a tutti, anche ai migranti, l’accesso a tutti i servizi – dalla salute all’istruzione, dal welfare ai trasporti pubblici – per salvaguardare quella visione del mondo che considera una persona come tale, a prescindere da chi sia, cosa faccia, da dove sia venuto e dove stia andando».
Babayoff non è nuovo a questo genere di interventi. Nell’estate del 2010 aveva chiesto ai residenti israeliani a sud di Tel Aviv di non affittare gli appartamenti agli stranieri, chiamati in quell’occasione «infiltrati». Se qualcuno l’avesse fatto, avrebbe violato una legge religiosa. E infatti pochi giorni dopo 25 rabbini della zona avevano firmato l’«Editto che vieta l’affitto di appartamenti agli infiltrati» e una decina di agenzie immobiliari – sempre del sud della città – avevano pubblicato la petizione in cui s’impegnavano a rispettare la richiesta arrivata dai religiosi.
Nello stesso anno, poi, il consigliere dello “Shas” aveva chiesto anche spazi separati negli asili frequentati sia dai figli dei migranti che da quelli degl’israeliani. Ma senza successo.
[Sopra, alcuni ragazzini israeliani a sud di Tel Aviv con in mano cartelli in cui chiedono al governo di riportare a casa i migranti (foto di Oren Ziv)]