Sono giorni che ci penso. E ogni giorno mi aspetto di leggere finalmente che Roberto Maroni, il leghista più stimato fuori dai confini della Lega, dica una cosa del genere: “Ok, è anche colpa nostra, noi non abbiamo vigilato, non abbiamo aperto gli occhi e anzi li abbiamo chiusi”.
Sono giorni che aspetto che un leader politico si prenda le responsabilità minime di chi fa politica. E invece niente. L’ex ministro degli Interni è letteralmente caduto dal pero: ha aspettao che fosserro i magistrati ad accendere le luci su “the family” e invece di spiegare come faceva a non sapere, a non vedere, a non avere dei dubbi, è subito passato all’azione del piccolo trotto della politica. Alleanze, strategie interne e naturalmente la trita invocazione di “aria nuova”.
Bene. Due o tre domande gliele facciamo volentieri noi. Ma come ha fatto in 30 anni di Lega a non farsi venire mai un dubbio, a non porre mai agli atti il suo dissenso e le sue inquietudini per una gestione che negli ultimi anni era diventata davvero family-centrica? E come ha fatto ad aspettare che un anziano visibilmente invalido – Umberto Bossi – fosse messo all’indice dalla magistratura invece di prendersi, prima, la responsabilità politica di una battaglia che doveva vincere per il bene del suo partito e, eventualmente, del Nord?
Son domande così, che vengono naturali alla fine di un’epoca. Il celodurismo – si sa – è finito con Bossi, ma un po’ di “attributi” per fare politica servono. E non servivano particolari dotazioni per deporre il vecchio Bossi e il suo familismo al potere. Maroni non ha fatto niente di tutto questo, ed è bene che questo resti agli atti fin da subito.