Fa abbastanza riflettere il sostanziale silenzio dei principali opinion maker italiani, riguardo gli attacchi subiti da Gianluigi Nuzzi, cronista di Libero e autore del best seller Sua Santità, edito da Chiearelettere. La storia la saprete tutti, ma vale la pena di riassumerla in poche righe: Nuzzi pubblica Sua Santità, un libro in cui raccoglie carte “segrete” che giravano in Vaticano. Carte riguardanti i rapporti di forza e poteri interni ai sacri palazzi (il papa e il capo dei Vescovi italiani Tarcisio Bertone, gli intricati e intrigati rapporti con la politica italiana, ecc). Il quadro che ne esce non è edificante, ma certo informativo. Dice delle imperfezioni (umanissime, che il “perfettismo è un’eresia, come direbbe il mio amico Giuseppe Baiocchi) che attraversano il cuore del potere e della dottrina ecclesiastica (che sta in Vaticano, ovviamente), e certo è interessante conoscerli in un paese – il nostro – in cui l’influenza culturale e politica della Chiesa Cattolica non ha bisogno di essere dimostrata.
Bene. Il Vaticano si attiva, l’assistente di camera Gabriele finisce nei guai con la giustizia vaticana e il Vaticano stesso attacca apertamente Nuzzi e il suo editore paventando l’ipotesi di ricettazione, furto e di altri reati assortiti. Ognuno ovviamente tutela i propri interessi come ritiene giusto, e se il Vaticano vuole minacciare o fare ricorsi alla giustizia – forte dello status, improvvisamente gradito Oltre Tevere di “Stato estero” – può naturalmente farlo.
A me però, da collega di Nuzzi che stima chi come lui sa fare inchieste e trovare notizie, resta un dubbio: perchè non c’è stata una generale, unitaria, convinta difesa del suo lavoro e del suo diritto di pubblicare quelle carte? Perchè in una categoria sempre pronta a gridare alla censura quando si sollevavano dubbi sulla pubblicazione di intercettazioni oggettivamente irrilevanti, non si è alzato un grido compatto in difesa del dovere (deontologico) di dare le notizie che si hanno?
Mi terrò il dubbio. Intanto Nuzzi, giusto oggi, si è difeso da solo sulle colonne del suo giornale. Per quel che vale, mi fa piacere (e mi è dovere) dire che sto con lui. E, dopotutto, pure con le ragioni fondative del mestiere che faccio e che amo.