La terra e l’imposizione della propria identità culturale sono fattori che da sempre hanno mosso i popoli e generato conflitti. Conflitti generalmente di stampo colonialista e vinti quasi sempre – al di là delle conquiste sulla carta (pensiamo alle molte risoluzioni Onu) – da chi ha più potere. A dimostrazione che l’universalizzazione dei diritti – fuori da logiche mercatiste – incontra e continuerà ad incontrare il muro delle sovranità statali.
La mente va al popolo palestinese, ai curdi, agli saharawi.. Milioni di persone – che in una prospettiva del tutto etnocentrica – sono privati della possibilità di avere propri processi democratici, di parlare la propria lingua, o addirittura, in taluni casi, di poter usufruire di servizi (dall’elettricità all’istruzione) o di svegliarsi con la certezza di vedere il tramonto.
Per non parlare dei diritti giurisdizionali.
http://www.ossin.org/marocco/ali-salem-tamek-processo-saharawi.html
E pensare che, in alcuni casi,– come in quello palestinese – la morte della generazione più vecchia lascerà in vita un popolo che non ricorda le proprie terre ormai martoriate (che raccontano ricche di profumati aranceti!) prima dell’occupazione. E, forse, quando non si ricorda più l’odore della libertà diventa difficile battersi.
Queste immagini scorrono veloci in questi giorni, in virtù di vicende che hanno riportato – così come per una ragione o per un’altra periodicamente accade – l’attenzione su questi argomenti.
Infatti, quest’anno, per la sua 5° edizione, il Napoli Teatro Festival ha avuto una sezione dedicata ad Israele, che si è aperta con il concerto di inaugurazione al San Carlo della nota cantante Noa. Quest’ultima ha subito dure contestazioni, legate alle sue affermazioni avvenute dopo l’Operazione Piombo Fuso :
“Io so che nel profondo del vostro cuore DESIDERATE (il maiuscolo è nel testo, n.d.t.) la morte di questa bestia chiamata Hamas che vi ha terrorizzato e massacrato, che ha trasformato Gaza in un cumulo di spazzatura fatto di povertà, malattia e miseria”. “Posso soltanto augurarvi che Israele faccia il lavoro che tutti noi sappiamo deve esser fatto, e VI LIBERI definitivamente da questo cancro, questo virus, questo mostro chiamato fanatismo, oggi chiamato Hamas. E che questi assassini scoprano quanta poca compassione possa esistere nei loro cuori e CESSINO di usare voi e i vostri bambini come scudi umani per la loro vigliaccheria e i loro crimini”.
Negli stessi giorni nella terra promessa (tutto per una antica promessa!) si diffonde la notizia che il direttore artistico del Freedom Theatre di Jenin è stato rapito dall’esercito israeliano. E così ci si ricorda che l’arte – a volte prezzolata, spesso malpagata – continua ad avere il compito di “introdurre caos nell’ordine” costituito (Theodor Adorno) ; strumento capace di traghettare l’identità e quindi la Politica, mezzo di emancipazione e liberazione. E’ quanto hanno dimostrato, ad esempio, i laboratori del Teatro valle e della Balena, che proprio in questi giorni scrive dal basso il proprio statuto.
STAY HUMAN
P.s.: Spesso lo sport riesce dove la politica fallisce, in questo caso non è avvenuto, segno di quanto la questione israelo-palestinese sia palesemente ingombrante nello scenario geopolitico e non solo. Basti pensare che la Fifa ha riconosciuto la squadra palestinese solo nel’ 98 nonostante fosse stata fondata nel 1962 e solo il 9 marzo 2010, è stato invece disputato il primo incontro ufficiale nei territori occupati.