Mercato e LibertàPer vincere in politica ai liberali italiani manca un Martin Luther King

Ieri ho passato quasi tutta la giornata ad ascoltare giovani liberali che vogliono incidere, per la prima volta dai tempi di Einaudi, nella storia di questo paese. Ci sono stati oltre cinquanta int...

Ieri ho passato quasi tutta la giornata ad ascoltare giovani liberali che vogliono incidere, per la prima volta dai tempi di Einaudi, nella storia di questo paese. Ci sono stati oltre cinquanta interventi, ognuno di cinque minuti. Gli interventi ‘fuffa’ tipici del politichese, privi di contenuto e tronfi di retorica, sono stati una minoranza.

La maggior parte sono stati di policy, spesso condivisibili: meno tasse, meno spesa, meno debito, meno burocrazia, più concorrenza, meno ordini professionali, più stato di diritto, meno tempi dei processi, meno carceri-lager, meno proibizionismo. Non più di un paio di idee non mi sono piaciute: eurobond per gli investimenti e ‘Stati Uniti d’Europa’.

Purtroppo però le cose sono andate esattamente come pensavo.

Quasi nessun intervento è stato di ‘strategia’: nessuno, tranne me, si è chiesto come realizzare le proprie idee.

Quasi nessun intervento è stato di ‘teoria politica’: nessuno, tranne la mia complice Rosamaria, si è chiesto cosa impedisce veramente alla politica di essere liberale.

Quasi nessun intervento è stato di ‘logistica’: nessuno, tranne in parte me, si è chiesto come organizzare un movimento liberale in grado di imporsi alla politica e diffondersi nella società.

I liberali intendono per politica solo una cosa: chiacchierare di policy tra di loro. Se non hanno avuto alcuna influenza nella politica in mezzo secolo, è proprio per questo. La mia impressione è che anche nei prossimi cinquanta anni non accadrà nulla di liberale, se i liberali continueranno così.

Nel mio intervento ho detto che ai liberali manca un Martin Luther King in grado di catalizzare ed organizzare il consenso su determinate idee latenti, finora prive del substrato sociale necessario a realizzarle. Finché non ne avremo uno, e anzi, finché non inizieremo a cercarlo, lo status quo godrà di ottima salute, e anzi se la riderà.

A cosa serve avere idee politiche se non si ha né il potere politico né la voglia di fare lotta politica? La ‘strategia’, se così la vogliamo chiamare, dei liberali, è quella tipica delle squadre deboli: accontentarsi della salvezza, evitando la retrocessione, cioè conservare uno o due posti in Parlamento.

In un mondo dove per ottenere cento bisogna chiedere mille, i liberali chiedono dieci. In un mondo dove l’organizzazione conta più delle idee, i liberali sperano nelle idee. In un mondo dove i problemi pratici sono più impellenti dei principi generali, i liberali puntano sulle astrazioni.

Il liberalismo italiano vive in una bolla di sapone. Poi si scopre che non dico Grillo, ma Mastella, prende mille volte più voti di Della Vedova: le illusioni, si sa, sono belle, tanto che spesso diventano un’alternativa alla realtà, che bella certamente non è.

L’Italia non ha un futuro perché nessuno vuole impegnarsi a costruirlo, ma la disperazione, producendo accidia, diventa una profezia che si auto-avvera.

Eric Hoffer una volta lesse una citazione di Goethe: “Niente è perduto finché c’è la speranza”. Si lamentò che un grande uomo come Goethe non avrebbe potuto dire una cosa tanto banale. Scoprì che la citazione reale era “Niente è perduto finché c’è il coraggio”.

Aver fatto una maratona oratoria anziché un piano di battaglia è stata un’occasione sprecata. Ma nuove persone si sono conosciute e nuove idee sono state scambiate. La prossima volta parliamo di ciò che si è fatto, non di ciò che vorremmo qualcuno facesse al posto nostro.

Concludo con Hoffer: “è tuttora vero che l’uomo è più perfettamente umano quando trasforma ostacoli in opportunità.”

Pietro Monsurrò