Oltre la finestraSimbolica

Simbolica Sul frontone della casa di Jung vi è una scritta incisa nella pietra in latino: “Vocatus atque non vocatus Deus aderit”, che il Dio sia invocato o non sia invocato verrà. Egli, dunque, ve...

Simbolica
Sul frontone della casa di Jung vi è una scritta incisa nella pietra in latino: “Vocatus atque non vocatus Deus aderit”, che il Dio sia invocato o non sia invocato verrà. Egli, dunque, verrà, potrà essere riconosciuto o non essere riconosciuto, potrà essere celebrato o non essere celebrato, Egli verrà. Il Dio verrà sempre poiché nell’ultimo sogno che precede la Morte, quando vedrò il mio corpo divenire farfalla e librarsi dapprima esitante come una fiammella agitata dal soffio e poi sempre più densa e forte e decisa innalzarsi nell’ultimo spazio del Cosmo … allora deposte per sempre le forme che imprigionano, quando neppur più sarò farfalla che danza con i Pianeti … allora mi coglierò non più scisso dalla Totalità e dal cuore del Tempo – Spazio a me verrà la Parola Originaria, e la chiamerò Dio e lei chiamerà me Uomo senza altra determinazione ed aggettivazione e nella profondità indistinta ci Ameremo.
Mistero ineffabile d’Amore è la celebrazione della Santa Cena, domani è la festa del Corpus Domini per i Cattolici Romani. Festa che non amo poiché nei secoli fu strumento della Santa e Maledetta Inquisizione per perseguitare i dissidenti della Religione, ma di cui ho profondissimi ricordi. Nacqui come quasi tutti i miei coetanei nella Religione, solo al termine di una travagliata adolescenza di pericoli e molotov conobbi la Fede. Torno dunque alla mia infanzia animata da una Religione Severa vagamente giansenista il cui centro fu mia nonna ed il vecchio parroco del minuscolo, allora, paese. Vedo le vecchie abbigliate con i bianchi veli delle Figlie di Maria ed i vecchi ammantati del giallo della Compagnia della Buona Morte uscire dalla Chiesa, ormai abbandonata e decadente, i riti si celebrano in una nuova e brutta chiesa frutto dello scempio architettonico del post-concilio. Subito dietro di loro il vecchio prete con la berretta nera in testa, avvolto in un manto d’oro che stringe tra le mani il prezioso ostensorio d’argento ed oro. Ma prima del prete sotto il baldacchino ci siamo noi bambini, da poco abbiamo fatto la prima comunione che ci introduce nella vita della Comunità Cristiana e dunque nella vita del paesello tout-court, ed abbiamo cestini pieni di petali di rose che spargiamo ampiamente così che il Santissimo passi su un tappeto odoroso ed immacolato. Poi vengono le autorità. Rivedo zio, severo nell’abito nero, con la fascia tricolore, mi fa un po’ impressione vederlo dietro il Santissimo … lui Massone ed anti-clericale, non mangia preti poiché come dice lui: “fu educato sin da piccolo a non mettere in bocca le cose sporche”… e quindi il Maresciallo dei Carabinieri ed il farmacista anche lui Massone e reduce della Guerra di Russia … poi il popolo minuto, il popolo di tutti i giorni e quindi la banda a dare a tutti il passo anche al Santissimo …
Sono passati gli anni ed il mio sguardo si è fatto meno acuto e più opaco ma la Memoria gioca a rimpiattino e le note di “Noi vogliam Dio” risuonano misteriose nelle mie orecchie e mi inclinano a ragionar di Simboli:
Il Pane: cos’è il Pane? Se non la celebrazione della fatica umana e della natura. Il Pane è lavoro che macinato ed impastato con l’acqua dello psichismo profondo diviene Realtà Condivisa, nel frangere il Pane nel darlo gratuitamente il Dio viene, un Dio che non è dogma, un Dio che non è definibile nelle categorie del filosofico, un Dio che sorge dalle Profondità dell’Abisso da cui la Vita fluisce come un fiume in piena. Ed in quel Pane si fa corpo, vita condivisa. Sofferenza placata nel conseguimento.
Il vino: frutto della vite e quindi della stabilità raggiunta. La vite è una pianta delicata che esige cura costante, ben lo sanno i migranti baschi che sul finire dell’ottocento la portarono con mille trepidazioni in Cile. Ma il vino è l’ebbrezza della terra, è la cifra immancabile della festa che diviene esplosione dionisiaca in cui gli Ordini Ferrigni della presunta Realtà si disfanno ed attraverso il Caos della Possessione del Nume si apre un Tempo radicalmente Qualitativo.
L’Altare: forma arcaica del Mondo, pietra su cui ed attraverso cui il Pane ed il Vino si trasmutano di Sostanza Simbolica e divengono Carne del Dio, Sangue del Dio manifestati attraverso il Lavoro e la Festa dell’Uomo. Le Frantumazioni dei chicchi di grano acquisiscono un senso radicale e profondo, la pigiatura dell’uva nel tino se raffigura la carneficina universale allo stesso tempo riempie la grande mattanza dell’esistere di una festa che si rinnova.
La Pietra, il Pane, il Vino insieme si offrono al credente e lo trasformano in un Essere Totale che per alcuni istanti di radicale commozione si innalza sui tristi orizzonti dell’alienazione/omologazione e del deperire quotidiano, che ogni istante che passa alla Morte inclina, per presentarsi all’Universo quale Immagine Attuale del Nume.