Ho visto il titolo e mi ci sono buttato con ovvia voluttà: “Umberto Bossi: Qui comando io, non Bobo Maroni”. Sotto, una spaziosa intervista pubblicata, oggi, su Il Fatto Quotidiano. Un’intervista confusa, infarcita di “cazzate che dite voi giornalisti”, che entra ed esce dai discorsi senza chiuderli mai. L’intervista che specchia bene l’Umberto Bossi di oggi: un vecchio malato, non in grado di andare in giro da solo, non in grado di prendere decisioni serie e forse neanche piccole e di poco conto.
Uno che dice che Maroni lo voleva mandare via già nel 1994, perchè “viene dalla sinistra”, che dice che il ritorno dell’asse tra Arcore e Gemonio “sarebbe un bel segnale”, che lascia intendere che Maroni e il Viminale dovevano avvertirli che Belsito era un ladro, e così via. Insomma, sono le parole di un vecchio malato, confuso, che meriterebbe riposo, sipario e il giudizio impietoso della storia rivolto a quando lui era lui.
Capisco bene, da giornalista, la gola che ti fa il vecchio Bossi, uno che “ti da sempre il titolo” come diciamo noi. Ma adesso è ora di basta. Io ho il rimpianto di non averlo mai incontrato per bene quando era Bossi, e non averci mai potuto discutere (o litigare seriamente) quando si poteva parlare di Nord, di Berlusconi e di politica. Ma adesso sono conversazioni con un fantasma, di quelle che non espongono più il fallimento di un progetto politico o le colpe morali di chi lo ha trascinato a fondo, ma solo la decadenza più buia: quella di quando gli essere umani perdono il contatto con la realtà.