Lo avrei volentieri evitato, ma recentemente mi è capitato di vedere da vicino la realtà di vari ospedali pubblici.
Ho visto infermieri straordinari non far mancare mai assistenza e pazienza; ho visto medici sudati e affannati vestire il camice fuori servizio; ho visto OS gentili trottare da una camera all’altra.
Già, il ricordo più vivido che ho è una corsa costante, la scarsità non solo di strumenti materiali, ma del bene per eccellenza, il tempo. E in tutto questo correre, così distante dalla stasi forzata dei degenti ma forse anche dall’amministrazione sanitaria, ho visto comunque un’umanità di professionisti funzionare nonostante l’enorme carico di lavoro, di certo superiore rispetto a quello “sindacalmente” previsto.
Mentre io ero ferma e intorno quel mondo all’amuchina ruotava all’impazzata, mi tornavano in mente alcune proposte di de-regolazione e de-burocratizzazione sanitaria che sottolineano come, il più delle volte, in una larga percentuale di disturbi ordinari medici e ospedali potrebbero anche non essere coinvolti. Mi chiedevo se davvero tutte le persone ospedalizzate o in visita in reparto avessero bisogno di essere lì o di essere seguite in quel modo, con quelle trafile di documentazioni e certificazioni.
Non so nulla di sanità, ma per le mie recenti esperienze, dirette e indirette, mi sono chiesta se possa esistere realmente una diversa organizzazione delle strutture sanitarie e una diversa concettualizzazione del malato, specie per reparti come geriatria e medicina, dove arrivano spesso degenti “per esclusione”, che magari hanno bisogno più di assistenza che di terapie. Non a caso, le compagnie assicurative si stanno già ponendo il problema di passare da una concezione del malato come ricoverato a persona bisognosa di assistenza domiciliare.
Ma ho pensato soprattutto a quanto la tecnologia e l’innovazione avrebbero potuto aiutare a smaltire quella folla di gente che a volte è lì per questioni routinarie. Mi sono domandata se un grosso sistema pubblico di amministrazione come quello sanitario – con tutte le difficoltà stranote e spesso anche retoricamente sottolineate – abbia la capacità di cogliere e sfruttare i risparmi di tempo e risorse che la tecnologia consente.
Mi è tornato in mente, allora, un passo del manualetto What it means to be a libertarian. A personal Interpretation, di Charles Murray, tradotto in italiano dalla Liberilibri:
“Prendete il caso della diagnosi. Noi pazienti cerchiamo un medico perché immaginiamo il suo cervello altamente addestrato, istruito da anni di esperienza, vagliare le possibilità, esprimere pareri accurati. Una volta forse questa era la migliore alternativa. Oggi è probabile che siano più opportuni un’infermiera professionista esperta, dotata di un protocollo di domande, un software diagnostico sofisticato e un supporto umano specializzato per i casi più complessi. Ciò che è vero per il software diagnostico è vero per parecchie altre innovazioni tecnologiche in medicina.”
Boaz conclude che il sistema sanitario attuale assomiglia ben poco a quello che si svilupperebbe se i governi non fossero sordi al cambiamento. È un discorso complesso, che parte dai ritardi con cui le grandi macchine burocratiche, che hanno prospettive temporali completamente diverse da quelle degli individui, intercettano i cambiamenti di vita, non riuscendo o non essendo comunque interessate a cogliere le opportunità interstiziali e magnifiche che talora un po’ di inventiva mista all’innovazione possono produrre.
Così, tra i corridoi di uno di quegli ospedali, ho scoperto che un medico ha appena messo a punto un’applicazione che consente alle future mamme di monitorare da sole attraverso il conteggio dei movimenti fetali, da qualsiasi supporto Apple, il benessere del loro bimbo. Un gesto piccolo e semplice, che consentirà una collaborazione più celere e efficiente tra le donne e i medici, i quali potranno ricevere via mail o sms i report multipli elaborati domiciliarmente dal software, report facili da raccogliere per la paziente e da interpretare per il medico.
Un software nuovo, appena messo in commercio per una cifra a dir poco irrisoria (1,99 dollari), frutto né di un firb del ministero dell’istruzione né di un protocollo di ricerca regionale, ma semplicemente dell’inventiva individuale, da quella di Steve Jobs fino a quella del medico che ha avuto l’idea, passando per quell’emblema di ordine spontaneo di mercato che si è dimostrata la rivoluzione informatica.
Un software che immagino sia in compagnia di un’infinità di altre piccole innovazioni capaci di produrre semplici e straordinari risultati i quali, se colti, possono creare altrettanto piccole ma significative soluzioni laterali a problemi che sembrano irresolubili, come, ad esempio, semplificare il rapporto tra paziente e medico, in un sistema (non solo sanitario) sempre più complesso e costoso, e fronteggiare la domanda crescente di servizi ospedalieri con un’offerta pubblica in riduzione.
Serena Sileoni