da Nairobi
Tra Moi e Haile Selassie avenue, a Nairobi, c’è un angolo di città particolarmente tranquillo e piacevole. Nonostante si trovi proprio all’incrocio tra due delle più trafficate arterie della capitale, è un piccolo parco ben tenuto all’interno del quale il caos della città si attenua. Dopo aver pagato 20 scellini per l’ingresso e aver superato il consueto controllo con il metal detector, ci si trovano studenti sdraiati sull’erba intenti a studiare e ridere, gruppi di donne che chiacchierano sedute ai tavoli sotto dei freschi pergolati, lavoratori in pausa con un caffè o una bibita, visto che questo quadrato di verde si trova ai margini del Central Business District.
Tra tutte queste persone, ci sono anche alcuni, rari, visitatori. Si riconoscono perché entrano guardandosi intorno e, sorpassando la fontana a forma di Ying Yang posta al centro del parco, si fermano di fronte a contemplare un’ampia lastra di granito nera (nella foto sopra). Leggono i nomi delle 218 vittime dell’attentato che la mattina del 7 agosto 1998, tra le 10.30 e le 10.40, ha distrutto l’edificio che ospitava l’ambasciata statunitense e che sorgeva proprio in questa posizione.
Il parco è, infatti, l’August 7th Memorial Park, inaugurato nel 2001, a tre anni esatti di distanza dall’azione che, insieme a quella messa in atto lo stesso giorno a Dar es Salaam in Tanzania, ha portato per la prima volta la rete terroristica di Al Qaeda all’attenzione del mondo. Il resto, dall’11 settembre all’uccisione di Osama Bin Laden nel maggio 2011, è storia.
Ora però che i grattacieli circostanti, devastati dall’esplosione, sono di nuovo in perfette condizioni e che dell’attentato non c’è più alcuna traccia, se non per qualche scultura realizzata con le macerie dell’ambasciata o per il modesto Peace Memorial Museum, c’è un aspetto di questo luogo che colpisce chi ci arriva. E lo fa ancora di più dopo che la minaccia di Al Qaeda è in qualche modo tornata ad aleggiare sul Kenya nelle vesti del gruppo somalo di Al Shabab che, proprio lo scorso febbraio è confluito nella rete terroristica ora guidata da Ayman al-Zawahiri.
Il punto è che questo memoriale non sembra assolutamente un memoriale. O meglio è un posto dove si può “riflettere, ricordare e rilassarsi” e il fatto che la maggior parte delle persone che lo frequentano sembri più intenta all’ultima piuttosto che alle prime due attività non ha niente di negativo. Anzi, è il segno che proprio laddove il terrorismo ha cercato di interromperla, la vita è tornata a scorrere.