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A Londra ieri sera sono cominciate le gare di atletica, una delle discipline, da sempre, regina dei giochi e una delle specialità dove gli olimpionici africani si giocano le maggiori possibilità di...

A Londra ieri sera sono cominciate le gare di atletica, una delle discipline, da sempre, regina dei giochi e una delle specialità dove gli olimpionici africani si giocano le maggiori possibilità di andare a medaglia. Zamzam Mohamed Farah e Mohamed Hassan Mohamed Tayow non sono tra questi, ma la loro storia, al netto della retorica olimpica, merita comunque di essere raccontata.

Nonostante la loro avventura sia durata molto poco poiché entrambi si sono fermati alla prima batteria delle rispettive specialità (i 400 metri per lei e i 1500 metri per lui), la loro partecipazione all’Olimpiade ha generato entusiasmo e ottimismo nel loro paese d’origine: la Somalia.

Mohamed e Zamzam, infatti, sono arrivati a Londra da Mogadiscio e, data la loro giovane età (rispettivamente 18 e 21 anni) sono cresciuti entrambi in una nazione in costante conflitto dal 1991, dalla caduta del generale Siad Barre. Si sono preparati all’evento nella capitale senza una vera e propria pista e in condizioni precarie, come racconta il servizio di Itv qui sotto, e alla partenza per la capitale britannica sono stati salutati con una cerimonia che ha visto la partecipazione del primo ministro e del sindaco di Mogadiscio.

“Sono molto eccitata” ha dichiarato la portabandiera Zamzam prima di imbarcarsi. “È inimmaginabile per me arrivare da un paese distrutto da 21 anni di guerra per gareggiare con atleti che invece provengono da nazioni serene, pacifiche e sviluppate che non hanno mai visto un conflitto”.

In realtà, una delegazione somala ha partecipato a tutte le ultime quattro edizioni estive dei giochi, mancando l’appuntamento con i cinque cerchi solo a Barcellona 1992. Ad Atlanta, un anno dopo il ritiro delle truppe Onu dal paese, furono quattro gli atleti che sfilarono sotto la bandiera azzurra con la stella bianca. Venerdì scorso, invece, allo stadio olimpico di Stratford, c’erano solamente Mohamed e Zamzam a rappresentare una nazione che, a causa della guerra, della siccità e della carestia, conta 1,3 milioni di profughi interni e, da poche settimane, un altro milione di rifugiati nei paesi confinanti (Etiopia e Kenya, soprattutto).

Eppure, “la Somalia è ancora viva”. Lo ha precisato Zamzam ai giornalisti che l’hanno accolta a Londra. E ci sono alcuni ragioni concrete per pensare che abbia ragione. La vita nella capitale Mogadiscio sta lentamente riprendendo dopo che le forze dell’Unione Africana hanno costretto le milizie di Al Shabbab a lasciare la città. Non solo. Esattamente due giorni prima che la coppia scendesse in pista, l’Assemblea Nazionale Costituente ha approvato ad ampissima maggioranza una costituzione provvisoria che il segretario Onu Ban Ki-moon ha definito un passo storico per il paese.

Certo, il voto è stato ritardato e messo a rischio da due attentati suicidi avvenuti nei pressi della sede dell’Assemblea la mattina stessa, ma è chiaro che il percorso della Somalia verso pace e democrazia sarà più simile a una lunga gara ad ostacoli che a uno sprint da velocisti.

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