Se, quando andremo alle urne, voteremo per qualcuno che ci rappresenti, nel senso che ci somigli, siano finiti. La sobrietà, a noi italiani, ce l’hanno imposta coi cannoni. Non ci siamo arrivati per un passaggio elettorale, non l’abbiamo scelta. Sono i mercati che, nella loro infinita perfidia, ci hanno fatto provare quest’ebbrezza. Ora ci piace, almeno così dicono i sondaggi, e in molti si lambiccano a immaginare strade e percorsi con cui permettere al Sobrio di restare dov’è. Preoccupazione più che legittima visto che, appunto, la sobrietà non l’abbiamo maturata con un percorso nostro, non ci siamo arrivati di nostra sponte. Anzi, facile pensare che senza il cavallo di Troia dello spread che ha imposto a tutti l’austerità, madre della sobrietà, gli italiani avrebbero allegramente continuato a votare per le bollicine di Silvio. Molti di quegli imprenditori che ora si spellano le mani per tanta morigeretazza, per quel senso del limite che trasmette, ieri erano grandi fan dell’uomo degli eccessi, quello che se ne infischiava allegramente. Una vera antitesi. Ma noi italiani siamo difficili da cogliere: in coda per il feretro del cardinal Martini, in molti cercavano di saltare la fila. Si raccontava di recente in un dibattito pubblico di un centro dell’Avis per donare sangue. Bene, molti donatori parcheggiano in doppia fila lì davanti. Al massimo di altruismo (il dono e per lo più in questo caso del proprio sangue) noi affianchiamo il menefreghismo dell’auto in doppia fila. Provate voi a fare sintesi di un popolo così schizofrenico.
In questo crogiuolo di miseria e nobiltà che possiamo essere noi italiani, vent’anni fa il ruolo della sobrietà come categoria della politica era occupato dall’onestà. Dopo che i costi del passante ferroviario di Milano erano raddoppiati per permettere il sistematico furto di denari pubblici, all’arrivo dei magistrati l’onestà divenne “la” categoria della discussione politica. Quello che, appunto, sta accadendo ora alla sobrietà. Anche qui, non fummo noi a decidere di mettere sull’altare la categoria dell’onestà. Quello che sono stati i mercati per la sobrietà, furono le inchieste penali per l’onestà.
In pratica negli ultimi vent’anni almeno, sono sempre fattori esterni a fornire i contorni dell’agire politico. Con le conseguenze del caso. Se guardiamo alle vicende di questi giorni, la Seconda Repubblica finisce peggio della prima. La retorica dell’onestà è rimasta quella che era: retorica. Tre tesorieri (Lusi, Belsito e Fiorito) finiti sotto inchiesta, un paese marcito dentro, nelle sue fondamenta, senza manco più la forza di dire basta. Ecco, a vent’anni di distanza, il mesto esito di quella retorica. Se questo è quello che accaduto a quei fiumi di parole sull’importanza dell’onestà, possiamo aspettarci lo stesso percorso sulla sobrietà.
Si può facilmente argomentare che entrambe, onestà e sobrietà, non siano propriamente virtù del popolo italico. La festa di Roma con le facce di maiale contraddice la seconda, quanto il Suv di Fiorito comprato coi soldi del partito contraddice la prima. E potremmo fare una serie di esempi su ambedue i casi. Oppure si può argomentare che di norma si vota qualcuno in base a due opposti, o perché è come te (Bush junior) o perché è quello che vorresti essere (Obama), e che, se noi italiani dovessimo votare per qualcuno che ci rappresenta per quello che siamo e non per quello che vorremmo essere, allora siamo fregati. Se poi ci capita un altro che, come l’uomo degli eccessi, per alcuni era come loro, per altri era quello che volevano essere, la fregatura può essere doppia. Ma bisogna vedere: in fondo anche Renzi sembra puntare ad essere entrambe, quello che siamo e quello che vorremmo essere.
Tuttavia il nodo mi sembra un altro, vale a dire che entrambe le categorie, onestà e sobrietà, non sono politiche, ma pre-politiche. Vale a dire che non si può votare qualcuno perché è onesto. Né lo si può votare perché sobrio. Dovremmo infatti poter dare per scontato che uno sia integro e, tanto più in piena austerity, morigerato, e, posto questo, dovremmo vedere di quale idee sia portatore. Ma “dovremmo” è un condizionale e le condizioni, lo sappiamo, non ci sono. Insomma, proprio il fatto che siamo costretti a mettere sul trono della politica queste categorie, che dovrebbero appunto appartenere al pre-politico, ci dice tutto della nostra miseria quotidiana. E, se è così, non avevamo bisogno di Fiorito per sapere come siamo messi. Bastava la nostra sbornia per l’essere sobri. D’altra parte lo diceva già Plutarco: «quello che sta nel cuore del sobrio è sulla lingua dell’ubriaco».