Post SilvioRiciclati e uomini della provvidenza: la politica lombarda vista dagli Usa (dove i partiti esistono)

La premessa, come si dice, è d’obbligo: non ho personalmente niente contro Umberto Ambrosoli nè contro Gabriele Albertini. Il secondo, soprattutto durante il suo primo mandato, governò bene la citt...

La premessa, come si dice, è d’obbligo: non ho personalmente niente contro Umberto Ambrosoli nè contro Gabriele Albertini. Il secondo, soprattutto durante il suo primo mandato, governò bene la città in cui sono nato, senza ambizioni da grandeur ma certo in modo ordinato, dignitoso, realista. La sua “amministrazione di condominio” mortificava chi tra noi, a Milano, rimembrava fasto ottocenteschi o l’epoca del riformismo degli anni 60-80, ma – forse – coglieva in maniera esatta il carattere di una città ripiegatasi su se stessa e che non chiedeva di essere rappresentata diversamente da così. 

Umberto Ambrosoli invece non ha mai fatto politica, è un professionista rispettato, porta con impegno un cognome importante e nelle occasioni in cui ho potuto incontrarlo mi è sembrata persona seria e resposnabile. Non ho ben capito perché il “poco tempo” che opponeva a chi lo candidava il 21 ottobre sia diventato abbastanza quasi tre settimane dopo, ma non credo che il punto sia questo. Con la squadra giusta e i giusti “pezzi di società” potrà fare una buona campagna elettorale e, perchè no, anche governare bene quel “mondo nuovo” che sarà la Lombardia dopo quasi vent’anni di potere formigonian-leghista.

Tuttavia. giunto ormai alla fine della mia privilegiata permanenza newyorkese – nata per seguire l’evento elettorale ma monopolizzata per la prima settimana dall’arrivo di Sandy – leggere dell’ormai ufficiale sfida tra Ambrosoli e Albertini mi lascia un indubbio senso di amarezza. Non perché non siano due candidati decenti (poteva andare molto ma molto peggio, ad essere onesti) ma perché le due candidature riflettono l’immagine di una Regione – tra le più importanti d’Europa, dal punto di vista economico – incapace però di produrre futuro attraverso processi politici. Dopo aver dato all’Italia – piaccia o no, ma è un dato di fatto – Craxi, Berlusconi e la Lega Nord, la Lombardia sembra aver del tutto staccato la spina della politica che produce idee, visione, classe dirigente.

Il Pdl – quel cumulo di macerie che resta di un partito nato indeciso tra moderatismo e populismo e morto nel giorno in cui Berlusconi ha lasciato palazzo Chigi – si rifugia nell’usato sicuro. Nell’ultimo passato che ha dato buona prova di sè a Milano e, in tutta sincerità, mi sembra la miglior alternativa possibile. Quel che dovrebbe invece stupire e colpire è che – dopo 17 anni di Formigoni, 18 di Berlusconismo e oltre venti di Nordismo leghista – proprio nella città e nella regione da cui questi fenomeni sono cominciati, il Partito Democratico è riuscito ad arrivare impreparato alla meta.

Impreparati perché, dopo 20 anni, il candidato a guidare la regione, per il centrosinistra, non esce da un percorso di elaborazione interno al partito che portasse, da un lato, a generare un programma nato in rapporto con le esigenze di una società regionale che cambia, che sta attraversando la crisi e modificando per molti i versi i suoi caratteri. Dall’altro e conseguentemente, sarebbe servito un partito capace di formare leadership non necessariamente carismatiche, ma certo radicate nel tessuto di un blocco sociale che non può essere – davvero non più – il vecchio monolite di un voto operaio assottigliatosi nei numeri, in una regione in cui la piccola impresa che confonde datori e lavoratori resta l’architrave. 

Torniamo, in chiusura, agli Stati Uniti. Qua fa impressione la normalità: fa impresisone cioè la politica che fa politica, che produce e seleziona classe dirigente, che perde se sbaglia i suoi conti (è il caso di Romney e dei Repubblicani, che non si sono accorti che i maschi bianchi non sono più abbastanza per vincere), che elabora processi, programmi, e rielabora errori per non vederli ripetere. Sarà banale e provinciale, ma accorgersi che nel paese in cui la libertà delle persone viene prima di ogni struttura sociale la politica funziona come si deve, e i partiti sono partiti, mette un filino di ansia, soprattutto a poche ora da un volo che mi riporterà nel cuore della Lombardia. In quella Malpensa che resta – guarda caso – un bell’esempio di come la politica non sia stata capace di generare futuro. 

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