Cazza la randaBersani usi la forza,di cui Prodi non poté disporre,per cambiare la rotta politica

“Bersani è molto più forte oggi di ieri, certamente abbastanza forte per mettere in atto i cambiamenti necessari”. Parola di Romano Prodi. Che sa bene cosa significhi vincere le primarie con ancora...

Bersani è molto più forte oggi di ieri, certamente abbastanza forte per mettere in atto i cambiamenti necessari”. Parola di Romano Prodi. Che sa bene cosa significhi vincere le primarie con ancora maggiore investitura popolare, ma non poter disporre della forza per cambiare la rotta politica.

Pierluigi Bersani, diversamente dal Prof, ha però una carta in più da giocarsi sulla via dei “cambiamenti necessari”. Ha un partito alle spalle. Il cui popolo, divisosi temporaneamente in occasione delle primarie, è unitissimo nel chiedere – da ben prima che Renzi scendesse in campo – innovazione. Che non è semplicisticamente riconducibile ad una domanda di ringiovanimento della classe dirigente. Gli elettori del Pd chiedono da tempo di rivoluzionare metodi di funzionamento, riti, linguaggio, contenuti programmatici e processi di selezione. È molto di più della semplice richiesta di mettere un trentenne al posto di un sessantenne.

E poi chi conosce un po’ il partito di Bersani, sa perfettamente come ci siano tanti giovani, troppi purtroppo, che, essendo cresciuti in fretta all’ombra del vecchio establishment o di uno dei tanti capibastone, puzzano di vecchio lontano un miglio. Li abbiamo visti all’opera anche in queste primarie, da una parte e dall’altra. Mandati a rilasciare interviste o spediti in tv da Renzi e Bersani, questi giovani solo di età, apparivano vecchi e navigati attori sulla scena della politica. Bravi a fare la difesa d’ufficio, ma incapaci di raccontare come cambierebbero il paese.

Il Pd dunque può certamente fare a meno dei D’Alema, Veltroni, Marini, Bindi e di personaggi come La Torre, riapparso non a caso in tv. Ma anche di questa gioventù di mestieranti.

Il Pd ha invece tremendo bisogno di fare, con Bersani, qualcosa di più di una rottamazione cieca e insulsa del vecchio: una vera e propria rivoluzione. Scegliendo i migliori e non i meno peggio, come la politica ha fatto negli ultimi venti anni. Puntando non già su gregari e laccapiedi buoni solo a scaldare lo scranno parlamentare, ma sulle competenze. Cercando così di riavvicinare tanti cervelli in fuga dalla politica.

Lo stato di emergenza nel quale versa il Paese ed a cui ha fatto riferimento lo stesso Bersani domenica sera, richiede proprio di rimettere in pista le intelligenze più brillanti. Presenti dentro il partito, tra i bersaniani ed i renziani, ma pure fuori dei confini della politica attiva. Come ad esempio in tanti mondi che, se coinvolti, accorrerebbero in massa ad occuparsi del destino del Paese.

Su questo il Pd si gioca forse l’ultima chance, nelle mani di Bersani, per dimostrare di essere capace di incarnare davvero la domanda pressante di aria fresca che sale da anni, inascoltata, dai suoi elettori. E che ha torvato in Matteo Renzi uno strumento per lanciare un nuovo ed ultimativo segnale.

Vedremo dunque se Bersani archivierà definitivamente lo sport, diffusamente praticato negli scorsi anni, di fare mere operazioni di facciata. Vi ricordate, vero, le candidature veltroniane di Marianna Madia o di Massimo Calearo?
Così come siamo curiosi di capire se lo stesso Bersani commetterà l’errore madornale, e indicativo di un vecchio modo di agire, di tradurre i risultati delle primarie in un bilanciamento di posti e potere tra bersaniani e renziani. Capace solo di soddisfare gli appetiti di bersaniani, renziani e delle varie sottoccorrenti.

Se questa sarà la via antica che intraprenderà il candidato premier del centrosinistra, la risacca dell’onda di interesse e entusiasmo prodotta dalla primarie sarebbe violentissima.
Ma soprattutto Bersani, così facendo, svolgerebbe un pessimo servizio alla necessaria rigenerazione di cui ha bisogno il Pd per candidarsi a raddrizzare il destino di un paese sfibrato e ripiegato su sé stesso.

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