È da ieri che ci penso. “Berlusconi mi sfida? Non vedo l’ora”. Lo ha detto Pierluigi Bersani, ieri, commentando l’ennesima possibile giravolta di Silvio Berlusconi che – in questi giorni la temperatura gira in quel senso – starebbe pensando di ricandidarsi a guidare il paese contro di lui. L’ipotesi avrebbe ripreso corpo dopo la netta affermazione di Bersani alle primarie perchè – alla faccia di chi ancora raccontava la favoletta di Renzi prediletto dal Cavaliere – con Bersani in campo Berlusconi sente di avere qualche chance, mentre col sindaco di Firenze la strada sarebbe sembrata nettamente sbarrata.
Ma se capisco bene la senile, ultima tentazione di Berlusconi, fatico a capire il gongolamento di Bersani. Che – neanche ha fatto in tempo a vincere le primarie – e già sente il bisogno di ringalluzzire quel pezzo della sua base che ancora pensa a Berlusconi come la minaccia più grande, e la miglior motivazione alla partecipazione politica. Quasi che, in un pezzo di sinistra che Bersani sente decisivo, sia durissima definirsi politicamente senza Berlusconi in campo.
E dire che, da queste parti, non mancano problemi più urgenti che da un leader di partito e di governo – pensiamo – dovrebbero essere messi in evidenza da subito e con tante di ricette per farvi fronte. Anzi, da subito bisognerebbe chiamare alle armi le migliori intelligenze per combattere la guerra della crescita, della disoccupazione, dell’impresa, dei diritti negati a lavoratori e cittadini, della burocrazia che ci strozza.
Per parlare di futuro, e di un futuro migliore, ci sono insomma un milione di occasioni. Basta sapere che esiste e ricordarsi che è il core business della politica. Bersani, per il momento, ha ricominciato dal passato. Speriamo che giri la testa e guardi avanti, anche se la montagna da scalare è forse ancora più alta di quella che è sembrata insormontabile negli scorsi vent’anni.