Il prossimo 31 dicembre si chiuderà ufficialmente l’Emergenza Nord Africa. Era cominciata nel febbraio dello scorso anno per far fronte alle decine di migliaia di cittadini stranieri giunti sulle coste italiane in seguito alla primavera araba. Per accogliere queste persone lo Stato ha investito più di un miliardo di euro, eppure, per molti di loro, il rischio di trovarsi in mezzo a una strada la sera di Capodanno è concreto. Se, quindi, da un lato, parlare di emergenza è quanto mai attuale, dall’altro, il termine Nord Africa può essere fuorviante. A dispetto del nome scelto, a pagare le conseguenze più pesanti di questa situazione saranno soprattutto cittadini degli stati dell’Africa subsahariana.
Un profugo ospite della Protezione Civile – protezionecivile.it
George, 27 anni, originario della Nigeria, è uno di questi. Quando è scoppiata la guerra, viveva a Tripoli e non aveva nessuna intenzione di venire in Italia. In Libia, aveva un lavoro, una compagna e una figlia, entrambe perse durante il conflitto. Così, ha deciso di scappare, è arrivato a Lampedusa e poi, a febbraio, in un centro di accoglienza della periferia milanese. La sua storia è simile a quella di molte altre persone ospiti del circuito d’accoglienza straordinaria creato per l’Emergenza Nord Africa.
La maggior parte di loro, se si escludono i numerosi tunisini cui è stato fornito un permesso di soggiorno per motivi umanitari, non proviene dal Maghreb né dal mondo arabo. In Lombardia, per esempio, nel novembre 2011, su un totale di 3.075 persone, 984 venivano dalla Nigeria, 408 dal Ghana, 368 dal Mali e 132 dal Bangladesh. Sono migranti economici che nel paese di Gheddafi avevano trovato una vita migliore rispetto a quella in patria e ai quali la guerra ha stravolto ogni progetto di vita. Di questi, ha spiegato il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri a fine novembre, 25.700 vivono ancora nei centri d’accoglienza della penisola.
Le storie di queste persone, però, non sono tutte positive come quella di George, che a Milano ha imparato l’italiano e ha incontrato Bakaye, nato in Mali e fuggito anche lui dalla Libia lo scorso anno. Il primo ora è alla ricerca di un lavoro, il secondo comincerà a breve un tirocinio formativo curando il verde cittadino.
L’accoglienza in regime di emergenza gestita dal Ministero dell’Interno, accanto ad esperienze positive, ha generato sprechi e scandali, come raccontato da Linkiesta già ad aprile e, poi, ancora dall’Espresso a metà ottobre. A queste persone spesso non è stata garantita l’assistenza cui avevano diritto dal punto di vista linguistico, sanitario, psicologico e lavorativo. E a gennaio, con la fine dell’erogazione dei contributi statali ai soggetti che li stanno ospitando, molti potrebbero diventare dei senza dimora.
Non solo, c’è poi il capitolo legato ai documenti. Tutti i profughi avrebbero dovuto presentare domanda per ottenere lo status di rifugiato. “Le Commissioni territoriali – sempre secondo il ministro Cancellieri – dal 1° agosto 2011 al 30 ottobre 2012 hanno esaminato complessivamente circa 39.000 domande, numero in cui sono ricomprese le istanze presentate dalle persone fuggite dal Nord Africa, con un esito di accoglimento di circa il 41 per cento”. Per tutti gli altri è cominciato il faticoso iter del ricorso, spesso vano, fino a che il Governo ha deciso, a fine ottobre, di concedere, parzialmente, quanto molte associazioni del terzo settore chiedevano da tempo. E cioè il rilascio di un permesso di soggiorno umanitario (della durata di un anno) in favore di tutti i profughi giunti dalla Libia.
Una manifestazione a Roma per chiedere il rilascio di un permesso di soggiorno umanitario in favore di tutti i profughi giunti dalla Libia – arcinumeroverde.wordpress.com
Come spiega l’Associazione Giuridica per gli Studi sull’Immigrazione, il documento di indirizzo dell’esecutivo del 30 ottobre “pur non esplicitando il riconoscimento generalizzato della protezione umanitaria, di fatto lo sottende”. In pratica, non concede un permesso automatico a tutti gli stranieri coinvolti nell’Emergenza Nord Africa, ma li invita a fare riesaminare la domanda cui è stata data risposta negativa.
Il punto però è quante persone siano realmente al corrente di questa possibilità. Molti profughi, considerate anche le condizioni nelle quali sono stati ospitati, hanno lasciato i centri (o gli alberghi) ai quali erano stati destinati. Alcuni per intraprendenza, altri per insofferenza, altri ancora per cercare fortuna in diversi paesi europei, magari da parenti o amici. In quei luoghi dove i progetti di accoglienza hanno funzionato è molto probabile che siano già stati informati. E tutti gli altri?
Il doppio rischio è che chi potrebbe già ritrovarsi senza casa e, presumibilmente, senza lavoro, aggravi ulteriormente la sua situazione non sfruttando a possibilità di mettersi in regola coi documenti.
L’exit strategy del Governo per uscire dall’emergenza prevede il passaggio della gestione dell’accoglienza dalla Protezione Civile ai soggetti ordinaria. Tra l’esecutivo, le regioni e gli enti locali è stata firmata un’intesa, un documento di indirizzo. I dubbi però non mancano, come ha sottolineato Pietro Marcenaro, presidente della commissione Diritti umani del Senato: “Adesso la questione torna agli enti locali già alle prese con difficili questioni sociali, dagli sfrattati ai disoccupati, in una situazione di taglio delle risorse”.
Scelte sbagliate e ripensamenti tardivi, speculazioni e mancati controlli hanno ridotto enormemente l’impatto degli ingenti fondi investiti per l’Emergenza Nord Africa: innanzitutto i 46 euro (medi) pagati per ciascun ospite ai centri di accoglienza indipendentemente dal reale lavoro sociale svolto e, poi, le maggiorazioni per i minori non accompagnati (in alcuni casi maggiorenni camuffati), i costi per il funzionamento di 13 commissioni aggiuntive per la valutazione delle domande di asilo e gli straordinari delle forze dell’ordine coinvolte.
Secondo i dati della Protezione Civile, a settembre 2012, sarebbero stati stanziati complessivamente 1.336.000 euro. “L’emergenza – conclude Marcenaro – non ci lascia nulla con un costo enorme”. Per le già provate casse statali, ma soprattutto per delle persone che sono fuggite da una guerra.