Amore senza confiniIl mondo arabo è un’invenzione

“Il mondo arabo è un’invenzione, perché i mondi arabi sono tanti quanti i Paesi arabi. Un mondo arabo è un’utopia. Ciò che gli stati arabi hanno in comune è la storia, la lingua scritta e l’Islam. ...

“Il mondo arabo è un’invenzione, perché i mondi arabi sono tanti quanti i Paesi arabi. Un mondo arabo è un’utopia. Ciò che gli stati arabi hanno in comune è la storia, la lingua scritta e l’Islam. Ma questi Paesi non sono uniti, non costituiscono un’entità solida e forte. Lo stesso Islam è attraversato da diverse correnti”.

Così scrive Tahar Ben Jelloun, scrittore marocchino originario di Fes, nel suo libro “Non capisco il mondo arabo”. L’ho divorato questa mattina, durante il volo Marrakech – Bergamo, mentre cercavo di ricomporre i pensieri sulle emozioni e sensazioni provate durante questo breve soggiorno di lavoro.

La prima volta che sono stata a Marrakech, è stato nel 2006: un viaggio post maturità, che mi ero voluta regalare, partendo con altre due amiche, una delle quali marocchina e che quindi ci avrebbe ospitato. Ricordo l’ansia e l’agitazione della mia famiglia, addirittura mia nonna si era messa a piangere temendo che potessi essere rapita e scambiata per qualche cammello o essere data in sposa a chissà quale “essere barbuto”. In realtà anche io ero partita con una certa apprensione: tutto era nuovo per me, e in quel periodo dell’Islam e conoscevo ben poco. Mi ero completamente messa nelle mani della mia amica e della sua famiglia. Ero rimasta colpita dalla generosità e dal senso di ospitalità delle persone; dai colori e dai sapori nuovi e dalle prime, piccole contraddizioni che i miei occhi riuscivano a vedere. Ero tornata in Italia con la promessa di ritornarci, ma fino a pochi giorni fa la promessa non è stata mantenuta.

Marrakech nel 2006 era stata una tappa veloce di due giorni: appena messo piede sull’aereo, quest’anno, nella mia testa si profilava l’idea della magia della piazza Jemaa el Fna, i suoi incantatori di serpenti, le bancarelle di frutta secca e d’arancia, le donne che leggevano i tarocchi, i colori e i profumi del souk e le case di colore rosa. E la magia si è ripresentata, ma questa volta io avevo uno sguardo e una consapevolezza diversi. E, anche parlando con le altre colleghe, mi sono resa conto che, seppure nel mio piccolo – perché non si finisce mai di imparare – molti concetti ed atteggiamenti riuscivo a spiegarli a chi, invece, ha solo uno sguardo occidentale, influenzato dai pregiudizi che sono difficili a morire e che si possono infrangere proprio solo toccando con mano la realtà, o una parte di essa.

Quello che spesso a molti appare come una mia debolezza, in realtà è un punto di forza. Mi sento in bilico tra le due culture, come le cosiddette “seconde generazioni” e guardata da entrambe con una certa diffidenza. Da quella occidentale perché si pensa che nelle mie scelte e nelle mie difese, io sia semplicemente influenzata dal mio ragazzo musulmano (quando è il primo con cui spesso metto in discussione certi concetti) e che non abbia un cervello per poter riflettere e quindi si mettono quasi in dubbio le mie parole; dall’altra perché sono responsabile di far vivere nel peccato un musulmano e invece di portarlo insieme a me sulla retta via, ce ne freghiamo di quello che gli altri pensano di noi.

Ma tornando a Ben Jelloun: purtroppo i miei viaggi mi hanno portato solo in Marocco, ma entrando in contatto, per lavoro e per interesse personale, con musulmani provenienti da diversi Paesi, le differenze si notano. Si parla tanto di Ummah, dell’insieme dei musulmani, ma credo che sia davvero difficile che si possa arrivare davvero a comporne una. Ognuno ha le sue tradizioni e il suo modo di vivere e approcciarsi all’Islam. Per questo è sbagliato, come ha scritto appunto Ben Jelloun, parlare di “mondo arabo” tout court. E questo messaggio dovrebbe essere detto e ridetto sui mass media, che invece prendono dell’Islam proprio gli aspetti peggiori, dandoli per universali, e li gettano in pasto ai cittadini, senza prima dar loro una piccola infarinatura di base. Creando così una sorta di guerra tra poveri, ed allontanando i cittadini dai veri problemi della società.

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