Nei giorni in cui sentiamo parlare dell’India e del suo gesto distensivo di mandare a casa i nostri marò per le feste natalizie dietro cauzione, c’è un’altra faccia che non è la patinata e finta Bollywood e nemmeno quella del paese che si sta trasformando in una potenza industriale di pochi magnati e dirigenti a svantaggio dei molti che sono invece avvinghiati alla parola colonialismo.
Già! Una parola che evoca subito le pagine dei libri di storia dei ‘conquistadores’ spagnoli, del massacro degli Indios, le riserve indiane, la tratta degli schiavi.
Certo, un coro di voci uniche che si levano dai testi per condannare senza appello una pratica che oppone i forti ai deboli che soccombono sempre.
I deboli delle periferie più nere, delle baraccopoli fatiscenti e dell’ignoranza più tribale.
Foto Blog83.net
Nel terzo millennio questi capitoli fanno parte di un passato finito e sepolto a testimonianza però di cicli che non dovrebbero ripetersi.
Certo! Allora la civiltà fondata sul diritto di vita e sul rispetto dei popoli per tutti ha vinto?
No di certo! Perchè la storia si ripete in tante nuove forme subdole e sconosciute di colonialismo moderno.
Il comportamento economico umano cambia forma, ma non sostanza.
E la sostanza è lo sfruttamento delle cavie umane nelle sperimentazioni cliniche, una delle facce delle nuove conquiste.
Appunto in India, per esempio, ma anche nell’Europa dell’Est, Russia, America Latina e Cina.
Già perla dell’impero coloniale inglese, è teatro, dietro le quinte, di un fenomeno orrendo che vede genti analfabete e in uno stato di assoluta indigenza sfruttate in sperimentazioni farmacologiche delle Big pharma internazionali a costi pressochè inesistenti e facilitate da conniventi leggi locali.
Sono notizie che riportano vari magazine internazionali, la BBC, The Independent, il Washington Post, tutti denunciano un indegno sfruttamento di cavie umane da parte delle industrie del farmaco.
Del resto, come scrive il Washington Post, il neocolonialismo ha ricevuto una bella spinta in avanti dal 2005 in poi, quando furono introdotte leggi indiane che semplificavano i test sperimentali in quel paese.
The Independent riporta che un quarto di tutti i dati clinici forniti in Europa alle autorità di controllo sui farmaci proviene dagli esperimenti condotti proprio nei paesi sopra citati.
I numeri sono spaventosi: nei primi sei mesi di quest’anno sono 211 i decessi provocati dai test. Nel 2011 i casi sono stati 438; 668 nel 2010.
Le vittime, come nei lager, hanno solo una sigla Sae: Serious Adverse Events (gravi eventi avversi).
Si calcola che le persone coinvolte siano oltre 200 mila.
Un mercato da 500 milioni di euro, in crescita del 30% ogni anno.
E solo alle famiglie di 22 vittime sono arrivati risarcimenti con cifre comprese tra 2 e 20 mila dollari.
Del resto l’immisione in commercio di un nuovo farmaco richiede circa 10-15 anni e varie fasi di sperimentazioni con un investimento di diversi miliardi di dollari.
Stanziare i test in paesi poveri con un’ampia fetta di popolazione semianalfabeta vuol dire risparmiare fino al 60% il costo dell’investimento.
Certo, la questione è un labirinto con una via d’uscita ancora da trovare anche perchè in alcuni casi diventa assai difficile stabilire realmente il rapporto causa effetto tra la somministrazione di un farmaco-test e la malattia, perchè molte di queste persone sono già malate.
Ma è qui che si annida l’inghippo e la truffa della casa farmaceutica.
Pfizer, Merck, Astra Zeneca, Bayer sono alcune delle industrie coinvolte, ma è lecito pensare che numerose altre, anche minori, seguano questa pratica.
Loro si difendono dichiarando di seguire tutte le procedure dei protocolli, ma strappare un consenso pseudoinformato diventa più facile con la connivenza di leggi e la corruzione del personale sanitario locale che tra l’altro conosce benissimo la lingua inglese come ottimo ponte di mezzo tra popolazione e ditta farmaceutica.
No, stavolta non è un romanzo di Grisham, e per ora non ha un lieto fine e nemmeno un barlume di ‘giustizia è fatta‘.
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