Colpisce, a volte, la rapidità con cui le passioni politiche rientrano nei ranghi, cambiano di segno e indirizzo, oppure – forse più spesso – restano come un’inquietudine sotto la pelle di chi le prova davvero. Certo è che dopo una decina di giorni dalla fine della campagna delle primarie, e dalla netta vittoria di Pierluigi Bersani su Matteo Renzi, sembra quasi che niente mai sia successo. Il “paese reale” e la sua “classe dirigente” sono ripartiti da dov’erano: dalle facce, dai nomi, dalle idee (dove ci sono…) che già giravano prima. È riemerso dal nostro passato un Silvio Berlusconi ombra stinta di quello che fu; si è così resa palese l’ipotesi (circolante ovviamente da mesi) di un Monti che diventi politico e si candidi a premier; nel Pd il processo di rinnovamento passa per delle strane primarie imbandite subito prima di Capodanno.
Colpisce che di quel vento di cambiamento, partecipazione, di quell’Adesso! che molti aveva sinceramente mobilitato, non si vedano segni tangibili. Non si veda, soprattutto, dove possa sfociare quella passione che in molti si era accesa riportando a galla, perfino, la voglia di partecipazione politica che sembrava in ghiacciaia dagli anni Novanta, realizzando per diverse generazioni addirittura una “prima volta”. Ecco, Adesso! è diventato “dopo” e di quella ventata e di quel tentativo sembra restare poco. Tanto che, per fermare le bocce e in fondo per tracciare una netta frattura tra il suo domani e quel tentativo di Opa, è lo stesso Matteo Renzi che dichiara che resterà a Firenze, stabile, e con un cronoprogramma che potrebbe arrivare fino alla fine della prossima legislatura cittadina, e cioè fino al 2019.
Serietà? Probabilmente. Tattica? Probabilmente. Quello che volete. Ma certo un po’ dispiace che, alla fine del primo tentativo di rinnovamento costruttivo che la politica italiana ha attraversato da un po’, il destino naturale sembra essere quello di una chiusura nel proprio perimetro, del proprio recinto. Soprattutto, al di là delle legittime e rispettabilissime scelte politiche di Renzi, dispiacerebbe se con un tentativo non riuscito si archiviasse per un altro decennio il bisogno – vitale – che il ceto e le idee politiche devono subire, se vogliono in qualche modo rappresentare davvero il paese, le sue energie nuove, la voglia circolante di impegno. Senza giovanilismi o semplificazioni rischiose, in momenti tanto delicati. Ma anche senza arrendersi all’idea che il passato sia sempre, necessariamente, il più probabile dei nostri futuri.