In amore e in guerra tutto è permesso. Anche in campagna elettorale. E così, quando un pizzico di populismo e di slogan ad effetto finiscono per produrre più consensi dei progetti concreti, c’è chi non resiste alla tentazione di cavalcare le facili reazioni di pancia dell’elettorato.
È quanto sta accadendo in questi giorni attorno al tema delicato e poco conosciuto delle spese militari. L’affaire F35, in particolare, sta diventando il grimaldello con il quale fare breccia nei cuori di quegli elettori di più spiccata sensibilità pacifista.
In principio sono stati l’Italia dei Valori, Sinistra e Libertà e il Movimento 5 Stelle a propinare la cancellazione del nuovo caccia di ultima generazione dalla nota spese dello stato. Ora si è aggiunto al novero dei contrari anche il Partito Democratico. Ma chi propina nel proprio programma una politica di tagli indiscriminati, oltre ad ingigantire e gonfiare ad arte il peso effettivo che le spese militari rappresentano per il bilancio nazionale,omette di raccontare alcuni fatti incontrovertibili e fondamentali circa l’importanza strategica del settore della difesa per l’economia, l’industria e soprattutto l’occupazione in Italia.
Qualche mese fa, in anticipo sui tempi, Linkiesta ha fatto un po’ di fact checking sull’argomento. Vi riproponiamo in calce un dettagliato articolo sul tema.