Cavoletti di BruxellesIl modello Germania. Quale lezione per gli italiani?

Mi sembra molto interessante l’approfondimento fatto dalla rivista “Economia Italiana” sulle sfide da raccogliere per l’Italia nell’economia mondiale. Mi sembra tanto più interessante quanto poco s...

Mi sembra molto interessante l’approfondimento fatto dalla rivista “Economia Italiana” sulle sfide da raccogliere per l’Italia nell’economia mondiale. Mi sembra tanto più interessante quanto poco se ne é parlato nel confronto pre-elettorale.

Ci si é inventato di tutto per colpire la fantasia degli elettori, senza soffermarsi un attimo, un solo attimo, a verificare perché alcuni sistemi economico-industriali funzionano e altri no. Perché alcuni paesi, appartenenti ad una stessa area peraltro, fanno registrare un andamento soddisfacente e altri, invece, arrancano.

Per quanto mi riguarda, ho imparato che l’analisi comparata costituisce un utile strumento, non solo cognitivo-scientifico ma anche politico se si vuole mettere sul tavolo una proposta seria e credibile.

Paolo Guerrieri e Piero Esposito fanno notare come, contrariamentente a quanto avvenuto nel secondo dopoguerra, “allorché la forte crescita e la profonda ristrutturazione dell’economia italiana erano state trainate da una fase di rapida mutazione del contesto economico internazionale, in questo ultimo quindicennio la nostra economia non é riuscita a sfruttare la scia delle mutazioni epocali del contesto europeo e mondiale, ma ne é rimasta ai margini. La sua dinamica di crescita si é gradualmente affievolita, collocandosi su standard stabilmente al di sotto della media europea”.

In altri termini, gli ultimi decenni hanno rappresentato per l’Italia il tempo delle occasioni mancate: mancato aggancio del sistema economico alle grandi trasformazioni, mancato rinnovamento, mancata visione prospettica.

Dall’altra parte si situa, invece, la Germania. Non sono mancate le polemiche con la Merkel, non sono mancati i rigurgiti nazionalistici e l’insofferenza per la presunta (o meno) ingerenza politica ma é mancata l’analisi e il confronto.

Nessuno si é preso la briga (parlo di politici) di verificare perché la locomotiva, seppure tra mille difficoltà, continua ad andare e quella italiana é ferma in stazione da tempo.

La positiva performance teutonica non si può spiegare, secondo Guerrieri e Esposito, solo attraverso una dinamica contenuta dei salari e solo attraverso i vantaggi derivati dall’unificazione monetaria ma anche con l’aumento della produttività e di altri fattori strutturali, derivanti da profondi processi di ristrutturazione affrontati dalle imprese.

Al riguardo va menzionato, soprattutto, l’elevato grado di internazionalizzazione e frammentazione produttiva raggiunto dalle imprese tedesche in questi anni, attraverso massicce delocalizzazioni di componenti e/o di intere fase della produzione verso paesi a basso costo dell’Est europeo. La strategia ha permesso alle imprese, soprattutto quelle manifatturiere, di potere reggere la competitività provenienti dai sistemi a basso costo dell’area emergente. A favorire il processo, la dimensione di impresa tedesca, più grande e strutturata, rispetto a quella italiana.

La piccola dimensione delle imprese italiane é diventata nell’epoca della competizione globale un rilevante fattore di penalizzazione. E non si tratta solo di taglia, dato che un altro fattore che incide é la bassa managerialità nella conduzione delle piccole unità industriali.

Ne discendono alcune implicazioni di politica economica che spingono verso riforme e interventi che siano tali da favorire la crescita dimensionale, organizzativa e manageriale delle imprese italiane.

La ripresa del ciclo economico (quando si verificherà) dovrà poter contare su imprese capaci di conquistare nuovi spazi sui mercati esteri, come già avvenuto in passato.

Ocorrerà, quindi, mettere le imprese nelle condizioni di aggregarsi per sviluppare processi di internazionalizzazione e di frammentazione tali da poter competere nell’economia globale.

A questo punto, alle vigilia delle elezioni, però, mi sembra lecito una domanda. L’Italia avrà dei decisori politici in grado di saper governare questi processi ineluttabili di politica economica oppure si continuerà a guardare la Germania, in maniera infantile e grottesca, come il lupo cattivo che mangia gli italiani?

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