«Se mai vi dovesse capitare di incontrare un alieno, state attenti: potreste essere contagiati da un virus contro il quale non possedete alcun anticorpo». Così affermava Stephen Hawking a proposito di incontri ravvicinati con extraterrestri.
Già, perchè a furia di pensare agli alieni come ad uno specchio antropomorfo, non pensiamo che invece potrebbero presentarsi anche sottoforma di micidiali batteri contro i quali neanche il più potente antibiotico avrebbe la meglio.
Senza toccare teorie complottiste sui presunti modi per ridurre la popolazione mondiale, quello che è assolutamente certo è la mancanza di ricerca di nuovi antibiotici, che non attirano più le big pharma in altre faccende affaccendate, e l’abuso che di tali armi antibatteriche stiamo facendo.
Sì perchè ora l’alieno minaccioso è proprio quel batterio che è diventato resistente ai farmaci e che incombe sulla società ultramoderna e tecnologica per un ritorno al passato, ai tempi prima di Fleming, quando morire per una comune infezione era normale e comune.
Allora il futuro prossimo riavvolgerà il filo del passato, non quello glorioso dei libri di storia, ma quello realistico delle pestilenze, delle epidemie e di banalissime infezioni simili a quelle derivanti dal parto o da una faringite, per le quali allora scampare alla morte diventava un miracolo inatteso.
Quei batteri ‘alieni‘ dunque hanno vari nomi, stanno diventando numerosi, soprattutto nell’ambito ospedaliero della terapia intensiva.
Si chiamano ‘Staphilococco aureo‘ meticillino resistente, ‘Klebsiella pneumoniae‘ responsabile di polmoniti, ‘Escherichia coli‘, o quei batteri caratterizzati dalle cosiddette “New Delhi metallo beta-lattamasi”, un enzima che li rende resistenti a un ampio spettro di antibiotici beta-lattamici.
Le CdC americane (Centri per il Controllo e la prevenzione delle malattie), infatti, hanno lanciato l’allarme per una impennata sino al raddoppio dei casi di infezioni con i batteri del tipo CREs, come il New Delhi, appunto.
La sigla CREs raccoglie gli “enterobatteri resistenti agli antibiotici detti carbapenemici”.
Le cause sono ormai stranote.
Da un lato la ricerca antibiotica è lunga, in media 10 anni, con qualche centinaio di milioni di investimento per principi attivi destinati a terapie acute e non croniche, dunque di breve durata, a fronte di sperimentazioni in settori più redditizi come quelli tumorali o delle patologie croniche, senza tener minimamente conto che è il terreno delle infezioni quello che rende più inefficaci i trattamenti specifici.
Dall’altro, l’uso improprio o inutile che la popolazione ha inflitto per anni: la diffusione negli allevamenti animali come pratica preventiva, ma anche per una più rapida crescita oppure quel maldestro tentativo di uccidere una mosca con un ‘cannone‘, ovvero usare l’antibiotico per modeste patologie per le quali basterebbe un antinfiammatorio, così come non rispettare i tempi della terapia o un eccesso di utilizzo in via preventiva.
Del resto il problema non si è presentato tutto insieme, ma le prime avvisaglie si erano già manifestate nei lontani anni ’50, quando per l’infante penicillina e l’eritromicina si annotarono le prime forme di resistenza.
E da allora il processo non si è certo fermato e i batteri, per i quali forse i ‘microbi‘ siamo noi, si sono ingegnati a modificare la loro parete cellulare per renderla inattacabile dai farmaci.
Se no come farebbero a popolare il pianeta da, sembra, 3,5 miliardi di anni a fronte di qualche decina di migliaia dell’uomo!
L’obiettivo, lanciato dalle organizzazioni sanitarie internazionali, di avere 10 nuovi principi per il 2020 sembra irraggiungibile mentre il numero di quelli ormai inefficaci è salito da 60 a 90.
Oggi è l’Italia che ha il poco invidiabile primato in Europa di un eccesso di uso di antibiotici con relativo primato di resistenza.
Walter Ricciardi, Direttore dell’Istituto di Igiene dell’Università Cattolica di Roma, ritiene «necessaria un’alleanza mondiale che coinvolga anche le aziende farmaceutiche, che al momento non investono più in ricerca e sviluppo nell’area degli antibiotici», ma ha molti dubbi per quanto riguarda il nostro paese: «A livello globale “allarmi” come quello lanciato dai Cdc possono generare un movimento positivo per affrontare la questione e per trovare il giusto equilibrio tra fondi pubblici e privati. In Italia, purtroppo, la situazione è diversa» sottolinea.
«Il problema delle infezioni ospedaliere non è nuovo ma non si riesce a far niente per affrontarlo nella maniera giusta. E l’attuale situazione politica paralizzata di sicuro non aiuta» conclude Ricciardi.
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