“Come le donne somale stanno ricostruendo Mogadiscio” è uno dei tanti – splendidi – pezzi con cui la sezione dedicata allo sviluppo globale del Guardian ha celebrato la Giornata internazionale della donna. È un video nel corso del quale si può sentire Lul Moalim Keyrat dire che, nella capitale della Somalia, “gli uomini sono tutti senza lavoro e a portare a casa il cibo ci pensiamo noi donne”. È un video che la scrittrice italo-somala Igiaba Scego ha scelto per fare a tutti i suoi contatti su Facebook gli auguri per l’otto marzo.
“Non ci vado da quando sono adolescente a causa della guerra – confessa ad Africa Calling – ma sono sempre in contatto con il paese dove ha le sue origini la mia famiglia e so che le donne sono state il motore sia della sopravvivenza che della rinascita della Somalia”. Lul è appunto una di queste: a nove anni ha visto morire il padre e da allora si è messa a lavorare per aiutare la famiglia. Ora possiede un negozio tutto suo con il quale spera di mantenere i figli fino alla laurea. “Non siamo fuggiti da Mogadiscio semplicemente perché non potevamo” confessa ricordando i momenti più duri del conflitto quando, racconta alla telecamera, “gli Shabbab ti uccidevano solo perché nel tuo negozio era venuto un soldato a comprare qualcosa”.
Oggi va meglio. Da quando l’esercito kenyano e le truppe Amisom hanno scacciato i militanti del gruppo estremista legato ad Al Qaeda, la città ha cominciato a rinascere e il paese a sperare. Nell’agosto del 2012, i membri del parlamento hanno giurato per la prima volta in oltre vent’anni e, il mese successivo, hanno eletto presidente Hassan Sheikh Mohamud, grazie al primo voto tenutosi sul suolo somalo dal 1967. Dopo decenni di conflitto, una maggiore stabilità politica ha significato anche una crescita degli investimenti e della fiducia.
“Dopo anni in cui vedevo un futuro cupo – prosegue Igiaba Scego (nella foto sopra, Flickr: Internaz) –, negli ultimi dodici mesi sono tornata ottimista, anche grazie ai racconti di mio fratello. Abitava in Australia e, come stanno facendo in molti, ha deciso di tornare in Somalia per dare il suo contributo. Ora è un membro del Parlamento, con tutte le difficoltà e i rischi che questo comporta in un contesto ancora relativamente violento come Mogadiscio. La ricostruzione però procede: la speranza si è riaccesa”. E le donne sono le prime a tenerla viva.
Lo conferma anche il rettore dell’University of Somalia. “In città, nonostante gli uomini mantengano un ruolo tradizionalmente di leadershop, la maggior parte della forza lavoro è femminile – conferma al Guardian Yahye Ali Ibrahim – e lo è anche il 60 per cento dei miei studenti”. Farhio Mohammed Hassan è una di queste. “Sono iscritta a medicina – racconta nel video del quotidiano britannico – e voglio diventare ginecologa perché ci sono molte donne che hanno sofferto qui. Sono quelle che hanno pagato il prezzo più alto della guerra e della distruzione”.
Lo sa bene anche il Ministro degli esteri e vice premier del nuovo esecutivo somalo, Fawzia Yusuf Haji Adan. Lo scorso gennaio è venuta in visita a Roma e ha incontrato anche i suoi connazionali che vivono nel nostro paese, tra cui Igiaba Scego. “Un incarico di governo così importante che per la prima volta viene assegnato a una donna è un segnale forte, soprattutto dopo il dominio integralista di Al Shabbab” riflette la scrittrice. “Parlando a noi membri della diaspora ci ha ricordato che il nostro è un paese ricco di risorse, ma anche di problemi. E uno di questi, nonostante il loro attivismo, è la violenza di genere. C’è ancora molto da fare perché in Somalia tutte le donne vedano i loro diritti garantiti”.