Blog di una liberaleArgentina 2013: una nuova, vecchia crisi

Sembra non aver avuto particolare risalto mediatico la notizia della maxi-protesta di un milione di persone scese in piazza a Buenos Aires per protestare contro il presidente Cristina Kirchner, col...

Sembra non aver avuto particolare risalto mediatico la notizia della maxi-protesta di un milione di persone scese in piazza a Buenos Aires per protestare contro il presidente Cristina Kirchner, colpevole di di aver trascinato il paese (nuovamente) in una profonda crisi economica e di promuovere leggi sempre più antidemocratiche.
Le strategie economiche del governo Kirchner sembrano infatti aver peggiorato i sintomi di un paese che a stento tentava di riprendersi dalla crisi del 2001.

L’attuale scenario è talmente simile a quello che si presentava davanti agli occhi degli osservatori internazionali nel 2001, che vale la pena ripercorrerne le tappe più importanti, per poter investigare cosa andò storto, e cosa dovrà evitare il governo Kirchner per non ripiombare nella crisi monetaria e inflazionaria.

La Crisi dei “Tango Bond”

La crisi argentina del 2001, detta anche dei “Tango Bond”, fu interamente scatenata, come spesso accade, da un uso sconsiderato delle politiche pubbliche. In parole povere: lo Stato sbagliò a intervenire nell’economia (in questo caso monetaria) del paese.

L’Argentina aveva infatti sperimentato un sistema monetario chiamato “Currency Board” in cui il valore della valuta locale viene legato artificialmente a quello di un’altra valuta, in questo caso il Dollaro Americano. Il cambio era stato quindi fissato a 1 pesos = 1 US $.

Per mantenere questo regime (che si pensava potesse favorire le esportazioni e rendere maggiormente affidabile la valuta argentina), la Banca Centrale doveva quindi acquistare tanti dollari americani, quanti pesos venivano scambiati e distribuiti nel paese.

Il problema era che l’Argentina si trovava a fronteggiare un periodo difficile: la disoccupazione continuava a salire, anche a causa della mancanza di regole “flessibili” sul mercato, e le esportazioni diminuivano di giorno in giorno in maniera vertiginosa: la valuta risultava infatti troppo costosa per paesi come il Brasile (in forte espansione), sempre a causa del cambio voluto, e quindi artificialmente fissato, dal Governo.

L’Argentina aveva però bisogno di più soldi. Il governo spendaccione si trovava a dover ripagare milioni di debiti, dipendenti, e politiche pubbliche più o meno utili, e i soldi sembravano non bastare mai. La soluzione più semplice fu quella di “stampare” nuova moneta, come astutamente sta facendo ora la signora Kirchner, dimenticandosi la regola del Currency Board, ovvero la parità di disponibilità del dollaro americano nelle riserve della Banca Centrale Argentina.

Insomma, la Banca Centrale Argentina aveva cominciato a iniettare pesos nel sistema, creando una forte inflazione (più soldi ci sono, meno valgono).

Nel giro di poco tempo, gli Argentini iniziarono quindi a comprare sempre più valute e investimenti esteri, liberandosi dei Pesos. Il pensiero comune era infatti: “Con un pesos non compro niente.. Ma posso comprarci un dollaro”

Nel frattempo, i rendimenti dei titoli del debito pubblico continuavano a salire, rendendo di fatto impossibile restituire coupon e rendimenti ai creditori.
Infine, sempre per mantenere il regime monetario, la Banca Centrale iniziò a vendere dollari e comprare pesos , he altrimenti avrebbero rischiato di svalutarsi troppo. Il risultato non si fece attendere: la Banca Centrale esaurí i dollari e, sotto lo scacco della speculazione, fu costretta ad abbandonare il regime monetario a scambio fisso, lasciando il peso libero di fluttuare nel mercato degli scambi. Nel giro di pochi mesi il valore del peso si svalutò, se nel 2000 con un dollaro compravi un peso, nel 2001 ne potevi comprare 3.5.

Questa crisi non restò sulla carta. Migliaia di persone rimasero senza lavoro, senza casa, senza cibo: oltre il 60% della popolazione viveva sotto la soglia di povertà e circa il 20% si trovava in uno status di “estrema povertà”. Ovviamente i crediti dei Bond non vennero pagati ma “rischedulati” come si dice in gergo: ovvero, venne restituita una percentuale del valore (tipicamente intorno al 20%). Insomma, ci persero tutti: investitori, ma soprattutto cittadini.

Cosa impariamo da questa crisi? Chiaramente che l’idea di legare la valuta a una valuta estera non è adatta a tutti i paesi e a tutte le situazioni. Si tratta di un artifizio monetario che va contro i principi di libero scambio delle valute e dei capitali, e per quanto possa rivelarsi utile in alcune situazioni, spesso porta a enormi disastri. È però evidente che è possibile uscire da una crisi del genere, “liberando” il cambio e liberando soprattutto l’economia (meno tasse, maggiori semplificazioni e più flessibilità sul lavoro), per farla rinascere. Risulta però altrettanto chiaro che un debito pubblico “esagerato” non può essere sostenibile nel lungo periodo, e in situazioni come questa diventa inevitabile l’insolvenza.

E arriviamo a oggi, dopo alcuni anni di crescita, l’Argentina sta di nuovo attraversando un periodo economico complesso e pericoloso, segnato soprattutto dalle discutibili manovre della Kirchner, impegnata in un processo di “socializzazione” dell’economia, con tanto di nazionalizzazioni di aziende e controllo dei capitali.

Insomma, la presidente insegna: la storia sarà pure maestra di vita, ma forse non di economia.

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