Grillo ha ottenuto quello che voleva: dividere in due il paese. Elettoralmente è la strategia del 50%. I buoni da una parte, i vecchi, cattivi, sorpassati, attestati a difendere la ridotta, dall’altra, tutti insieme. Il Pd con l’impresentabile arcinemico, quello che la satira e la stampa di area democratica hanno dileggiato per vent’anni costruendo carriere e inventandoci sopra interi gruppi editoriali. Il Pdl inchiodato a Monti, lo sceriffo di Nottingham che affama le partite Iva.
Stretti l’un l’altro, aggrappati alla figura di Napolitano come i marinai alla polena di una nave che affonda, da qui al voto gli schieramenti politici si divideranno al loro interno tra coloro che possono e vogliono sfidare i grillini sul cambiamento e quelli che non vogliono o, peggio, non possono. Molti lasceranno le formazioni che affondano nel discredito; si aggregheranno nuovi gruppi, nasceranno nuove sigle.
Lo stesso per l’informazione. Stamattina i giornalisti erano compatti nella condanna unanime dell’esperssione “golpetto” e della “marcia su Roma”. Al netto dei toni grillini, nulla più di un riflesso autoconservativo: dove pretendevano che si vedessero Grillo e i suoi sostenitori? A Corno di Rosazzo in Friuli? Da oggi in poi in ogni redazione, dall’Eco del Chisone al Corriere della Sera, sarà impossibile non dividersi tra quanti intendono difendere i rottami di un sistema che è imploso in cinque votazioni e chi sa che fare giornalismo, oggi, significa chiedere alla politica di sfidare il grillismo a governare. E se non lo fa domandare il perché.