Le polemiche scoppiate sui social network, prima su Oscar Giannino, e poi sul neo ministro Beatrice Lorenzin, rea di non aver conseguito nessuna laurea, riportano all’attenzione il tema del valore legale del titolo di studio, già ampiamente sviluppato negli ultimi anni.
Senza scomodare pensatori illustri quali Einaudi e molti altri, è facile constatare la debolezza della teoria che fa del titolo di studio, un certificato di chissà quali competenze acquisite.
Mentre il privato se n’è già accorto da tempo, la PA continua a reggersi su concorsi per titolo, promuovendo un’ipocrisia filosofica che sfiora il ridicolo.
Vediamo perché.
Come molti sanno, da diversi anni, carabinieri, dipendenti comunali, regionali ecc per accedere ad alcune cariche devono aver conseguito un titolo di studio (segnalato dal concorso).
Peccato che il valore legale dello stesso titolo venga infangato dalle stesse pratiche di queste PA, che spesso permettono ai propri dipendenti di accedere alla laurea in modo semplificato.
Le università italiane vantano infatti diverse convenzioni che permettono ai dipendenti pubblici di vedersi “scaricati” diversi CFU o esami universitari, per poter ottenere la laurea in minor tempo e con minor fatica. Questa pratica ha ovviamente dei risvolti ufficiali (quali la richiesta di ottenere un numero minore di crediti rispetto a un normale studente per poter accedere alla laurea), e altri leggermente più ambigui, di cui molti studenti italiani sono testimoni.
“Ah lei è del comune.. va bene, mi parli di quello che vuole”
“Questo è l’esame scritto per gli studenti, questo per chi viene dalla PA”
Sono frasi che chiunque abbia frequentato un corso di Scienze Politiche, ha sentito più volte.
Ma c’è di più. Ci sono dipendenti PA che candidamente ammettono di avere già le risposte alle domande d’esame, c’è chi ammette di avere avuto un esame o un programma diverso, e così via.
Eppure il titolo di studio conseguito, e di conseguenza il valore legale dello stesso, sarà poi lo stesso di quello conseguito da un normale studente, che dovrà sostenere il doppio degli esami, e studiare il doppio del programma.
Sarà allora forse diversa una Beatrice Lorenzin, che chiaramente avrà avuto cento e più possibilità di ottenere una laurea in qualche università romana con le agevolazioni di cui abbiamo parlato, da un qualsiasi altro dipendente pubblico o politico, che ha deciso di “regalarsi” questo titolo?
Ps. e sarà tanto peggio di una Sara Tommasi (laureata con 105 presso la celebre Università Bocconi), di una Roberta Lombardi qualsiasi (laureata in giurisprudenza ma con chiare lacune nell’ambito del diritto pubblico), o di un Bersani, laureato sì (con tesi su Papa Gregorio), ma che non ha mai lavorato neanche un giorno della sua vita?
Elisa Serafini