Un incontro, una stretta di mano ed un sorriso a favore di camera. La visita di Massimo D’Alema alla ‘sua‘ Roma, alle prese con i primi giorni della preparazione atletica, è tutta in questo tweet.
Ma più che una foto, è un assist perfetto per una spizzata di testa in rete sotto il sette. Di chi li vuole sfidare e vuol portarsi a casa i 3 punti, più il pallone.
Perchè entrambi, autentici numeri uno nel loro campo, rappresentano plasticamente quel mancato rinnovamento che tutti vogliono e che nessuno, alla fine, pratica.
Difficile sostituirli, dicono, eppure ormai è necessario.
Lo hanno fatto anche altri campioni con le proprie squadre, non si capisce perchè non lo debbano fare loro.
La conta dei “capitan-futuro” dietro di loro ormai è roba da matematici, così come la descrizione degli scenari del “come sarebbe se lui si ritirasse” non appassiona nemmeno più i retroscenisti dei salotti romani.
Loro sono li, non demordono, con le loro -indubbie- qualità restano in campo e non c’è storia per nessuno.
Anzi, non c’è futuro per nessuno.
Ma fino a quando?
Vale per il calcio, ma vale anche per la politica, perchè l’uscita dal parlamento del presidente della FEPS non è stata certamente quello che in molti si aspettavano come l’ultimo atto di una importante carriera politica. No, anzi.
Voci che si rincorrono, lo vedono lanciato verso una nuova impegnativa corsa elettorale, quella che lo riporterebbe a Rue Wiertz 60.
Legittimo, ci mancherebbe altro, ma di questi tempi ha ancora un senso dire che a decidere della sorte politica di un dirigente sono i cittadini con il loro voto?
Sono questioni che stanno tutte nel nodo più complesso che è il rinnovamento della politica, il quale non passa solo ed esclusivamente dal necessario taglio dei costi o da una nuova legge elettorale, che possa mettere fine a questa macchia untuosa made in Italy.
Volere il cambiamento vuol dire anche avere la forza di saper dire basta, di aprire spazi e di allargare il gioco ad altri.
Perchè le “panchine” si accorciano, il “vivaio” rischia di invecchiare ed i “tifosi” poi si stancano e non le riempiono più le curve la domenica.
Ed uno stadio vuoto è la cosa più triste che ci possa essere, se si ama il calcio come si amano la politica, i partiti, l’Italia.