È questa la visione degli analisti di Credit Suisse in un report titolato “North African Summer: Egypt, Libya and the Companies”. Il peso del Cairo nella produzione del Cane a sei zampe, come si evince dal grafico qui sotto, è dell’11% su un totale dell’Africa pari al 27%, mentre quello della Libia è all’8 per cento. Per quanto riguarda il contributo al Nav (net asset value, il rendimento degli investimenti, ndr) entrambi i Paesi pesano ugualmente per l’8 per cento, mentre l’Algeria è al 7% della produzione ma conta per l’11% del Nav.
Principali compagnie petrolifere e peso dell’Egitto (Fonte: Credit Suisse)
«È opportuno considerare l’effetto che le proteste in corso in Egitto potrebbero avere sugli altri Paesi mediorientali e nordafricani confinanti, in particolar modo la Libia, che ha già visto un forte rallentamento della produzione a causa degli scioperi dei lavoratori del settore», scrive la banca d’investimento. Aggiungendo: «Se il conflitto continua in Egitto, il numero di profughi che tentano di varcare il confine con la Libia potrebbero rappresentare un’altra questione da affrontare immediatamente da parte del governo libico». Conclusione: «La continua instabilità dell’Egitto e della Libia potrebbero contribuire a un forte rialzo del prezzo del petrolio».
Ricapitolando: eletto lo scorso 30 giugno, l’ex presidente Mohammed Morsi, esponente dei Fratelli Musulmani, è stato destituito lo scorso 3 luglio da un colpo di Stato dei militari, avvallato dalle proteste di piazza dei Tamarod (l’opposizione liberale guidata dal Nobel El Baradei). Le ragioni della protesta stanno tanto nella crisi economica che ha fatto schizzare all’insù i prezzi dei beni di prima necessità quanto nelle modifiche alla Costituzione in senso radicale e più vicino alla Sharia, la legge islamica.
«Per quanto riguarda le nostre produzioni in Egitto, dove noi siamo i primi produttori di idrocarburi, per il momento tutto bene, tutto ok, quindi non ho ragione di preoccuparmi molto» ha detto lo scorso luglio l’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, a margine di un convegno, aggiungendo: «Sono più preoccupato invece per il paese Egitto, che è un paese al quale noi vendiamo gas, tra l’altro, e quindi ci deve pagare».