AnamorfosiIO, IO, IO. L’insostenibile leggerezza del “Selfie”

La parola “Selfie”, uno slang per dire “autoscatto”, è stata inserita nell’Oxford Dictionary (cfr. la Repubblica.it). Per quanto mi riguarda è come se fosse stata scritta nella pietra, a sancire il...

La parola “Selfie”, uno slang per dire “autoscatto”, è stata inserita nell’Oxford Dictionary (cfr. la Repubblica.it). Per quanto mi riguarda è come se fosse stata scritta nella pietra, a sancire il proprium di una contemporaneità che riempie vuoti esistenziali con l’oggetto tecnologico, con il culto del virtuale per mascherare fragilità identitarie che rendono insostenibile l’incontro con l’Altro; con l’autofabbricazione della propria immagine ideale grazie ai barbatrucchi di Photoshop, o in generale al ritocco in ogni e qualsiasi forma.

I nostri giovani, i cosiddetti “Millennials” nati tra il 1980 e il 2000, scrive il Time (http://content.time.com/time/magazine/article/0,9171,2143001,00.html), costituiscono una generazione di narcisisti, la cosiddetta “Me Me Me Generation”. Joel Stein, l’autore dell’articolo, lo afferma con dati di ricerca alla mano, che rivelano una preoccupante incidenza del disturbo narcisistico di personalità tra i ventenni di oggi, con percentuali significativamente più alte se si effettua un confronto con la generazione precedente.

È una figura a cui Massimo Recalcati nel suo ultimo libro, “Il complesso di Telemaco”, dà il nome di “figlio-Narciso”, cresciuto nell’appiattimento della differenza generazionale da genitori-ragazzini che orientano la propria prassi educativa nel senso della happiness ad ogni costo – e che un insegnante non osi dare un brutto voto al figliolo, altrimenti se la dovrà vedere con una mamma o con un papà sul piede di guerra…

Nell’impossibilità di incontrare il limite, la frustrazione, questi giovani restano fissati alla propria immagine in una sorta di rapimento autocontemplativo, non potendo reggere la ferita di un divieto, o di un rifiuto, o di un abbandono. Non sono in grado di cogliere ciò che li rende singolari, unici, perché nessuno li ha mai aiutati ad andare oltre il luccichio del placcato oro; sono persi rispetto a quale sia il loro posto nel mondo; sono persi rispetto all’amore. Non di rado sono depressi, nonostante tutto sia loro possibile, anzi, proprio a causa di questo, per il fatto che la libertà è garantita dall’immediata fruizione di oggetti di godimento più che dall’avvertire una propria, autentica destinazione nella vita.

Nell’assenza di un progetto, nel terrore dell’impegno e della responsabilità, questi ventenni/trentenni vivono sull’onda di sentimenti che durano cinque minuti, tempeste emozionali da cui si fanno travolgere come in un film, e così usano le parole: un giorno dicono “ti amo”, quello dopo sono confusi, quello dopo ancora sono innamorati di qualcun altro, o forse no, e chissenefrega del fatto che tutto questo abbia delle conseguenze su chi sta loro vicino, tanto l’altro esiste solo come loro riflesso, e proprio questa è la sua funzione: fare da specchio.

Insomma, l’importante è avere una bella foto profilo al giorno, che tolga “le cose pesanti” di torno. Ci vuole leggerezza, dicono. Ancora non sanno quanto presto tutto questo risulterà loro insostenibile.

Consigli per la lettura: Recalcati, M. (2013). Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre. Feltrinelli, Milano; Cesareo, V. (2013). L’era del narcisismo. Franco Angeli, Milano.

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