Lei si chiama Assunta: è una ragazza di trent’anni e più, vive da sola. Ha i suoi sogni e le sue paure, una madre ed un padre che le vogliono bene e che si preoccupano sempre per lei, e un cane, tutto peli e orecchie lunghe, con cui condivide il suo piccolo appartamento in centro. Lavora come commessa in un negozio di intimo femminile ed è lì che lo incontra: lui, il suo carnefice. Inizia tutto come una qualunque storia: si vedono, si piacciono, stanno insieme. Lui dice di essere lì, nel negozio di Assunta, perché deve comprare qualcosa alla madre; le chiede consiglio, lei lo trova dolcissimo. Cominciano a frequentarsi e dopo qualche mese vanno a vivere insieme. Le prime avvisaglie di problemi arrivano quando lui le chiede di sbarazzarsi del suo cane: fa troppo rumore, dice.
Secondo qualcuno questo sarebbe dovuto bastare per metterla sul chi vive, ma lei no; Assunta si fida di lui e si sbarazza del cane, lo dà ai suoi. Passano altri mesi. L’intimità diventa routine quotidiana, i sorrisi si contano sulle dita di una mano, e la gelosia la fa da padrona. Urla. Lui urla tanto. Assunta non sa nemmeno perché. Poi un giorno tutto, di colpo, cambia: il primo schiaffo, il primo spintone e il primo vetro rotto. Porte che sbattono, Assunta che piange; lui esce e rientra solo tardi, a notte inoltrata. Le chiede scusa, dice di amarla. E lei gli crede. Perché non dovrebbe? Tutto torna come prima, finché, nemmeno una settimana dopo, arrivano il secondo schiaffo e il primo calcio. Lei se ne va: se ne va da casa sua, il suo appartamentino in centro, e torna dai suoi. Un occhio pesto, un labbro spaccato; fatica a respirare, forse ha una costola incrinata. È la madre di Assunta che le dice di denunciarlo; il padre, come tutti i padri, vorrebbe solo vendicarsi. È il momento di avere coraggio.
Questa è solo una storia. Una storia come tante altre, fatta di amore, gelosia, violenza e – alla fine – di coraggio. Non hanno nessuna colpa le vittime, se non quella di essersi fidate troppo. La vera forza non sta nel saper “incassare”, ma nel sapersi ribellare: nel saper dire basta. Per questo non ci sono solo mamma e papà, gli amici e i parenti, c’è un mondo, un mondo intero, pronto a sostenere le donne perseguitate da uomini violenti. Quello che bisogna ricordare, e approfitto di questo spazio per dirlo, è che non si è mai soli. Mai. Crederlo anche solo per un istante è quello che dà forza ai carnefici. Al femminicidio, conclusione estrema di una letteratura fatta di pestaggi e false promesse, non viene dato abbastanza spazio – non ancora. Ogni momento è buono per parlarne. E io lo faccio qui, nel mio piccolo: sentivo di doverlo fare.