Odio, anzi: ripudio il formaggio.
Fare da inviato a Cheese, la Woodstock planetaria dei casari, per me ha il sapore amaro di una condanna. Vengo stordito dall’odore, dalla quantità di fantasia diversa applicata ai formaggi, ai loro nomi in tutte le lingue, in diretta attraverso lo stand del puzzone di Moena, il più maleodorante, in una specie di cover radiofonica delle incandescenti passeggiati di Mino Damato sui carboni ardenti. Sopravvivo.
Poi c’è Carlin. Il papà di una storia buona, pulita e giusta, fatta anche di queste mucche, vitelli e pecore sdraiate per le vie di Bra, di produttori che arrivano da ogni angolo del mondo, di una idea diversa della vita e del tempo. Perfino della Caciotta al Tesoro che diverte moltissimo i bambini. Carlin apre la porta di casa e accoglie in giardino, come un vecchio amico. E’ la prima volta che ci incontriamo e dopo mezz’ora abbiamo già in testa un’idea bizzarra di servizio (in onda faccio l’eretico e lui il Che Guevara della formaggella), progettiamo di impiantare una radio che racconti i diecimila orti di Slow Food in Africa, parliamo di vino con Gigi Garanzini, impareggiabile narratore della pelota, in un piemontese dolcissimo, che sa di lingua dei sentimenti. Si ride molto: non ci sono barriere generazionali, distanze. In generale, stare a colazione da Carlin Petrini è come andare a ripetizioni di latino dal Papa, che tra l’altro entra spesso nelle chiacchiere: è il giorno in cui il leader dell’ex patria del socialismo realizzato rivendica l’eterosessualità dell’amico italiano mentre il vicario di Dio ribadisce l’importanza di includere omosessuali e divorziati. Roba abbastanza nuova, tutto sommato rivoluzionaria. Dopo pranzo visito l’Osteria dove Carlin e i suoi amici inventarono Slow Food dopo mille mattane radiofoniche (Radio Bra Onde Rosse fu una delle prime libere, ma libere veramente), con in testa un obbiettivo chiaro: la massima qualità del cibo e della vita possibile, rispettosa di tutti. Poi passiamo alla sede dell’editore, complice la splendida Daniela Battaglio: il cortile è una vecchia aia piena di persone che guardano i primi estratti di un documentario che racconta la rivoluzione dei ragazzi che ad inizio anni Novanta rilanciarono il barolo nel mondo. Tutto ha un sapore glocal: tremendamente vicino alla provincia e al quotidiano, ma al tempo stesso con una solida spendibilità internazionale. Dal palco, non a caso, Petrini richiama al rapporto tra comunità e terra, e quando gli chiedo che cosa gli è piaciuto di più risponde “i politici, che non erano sul palco e stavano tra le persone”. Prima di ripartire tengo a mente una frase bellissima che Carlin mi ha regalato, ricordando la solidarietà di Dario Fo quando chiusero Radio Bra Onde Rosse: “la radio è il ciclostile del futuro”, per dire che non si può fermare, che è un grande veicolo di libertà. Alle grandi storie, come quella di Slow Food, in fondo bastano due elementi: una passione bruciante ed una innata tendenza a volare. Alto, altissimo.