Ho incontrato Aniello Alioto, giovane italoamericano che vive a Washington, dove si occupa di dossieraggio. La sua associazione si chiama “Progress Now” ed è vicina agli ambienti democratici della città. Aniello raccoglie notizie confidenziali, batte ogni fonte possibile della capitale (dall’avvocato alla prostituta, passando per gli staff dei candidati e dai cronisti), confeziona dossier scottanti, tratta con i politici interessati, e negli ultimi anni ha seguito da vicino le Primarie di Obama (2007-2008) e la campagna per la rielezione (2012) del primo presidente afroamericano della storia Usa. Campagne fortunate: il cavallo giusto, una svolta attesa da anni, un potere di ispirazione talmente globale e affascinante da rendere più facile perfino il lavoro del più agguerrito dei dossieratori. Il mestiere di Aniello è una via di mezzo tra il giornalista investigativo e il detective, un po’ più vicino al secondo perché c’è una piccola dose di rischio e talvolta di camaleontismo, e credo si possa solo immaginare la quantità di informazioni che transita dalla sua scrivania. Cosi come gli effetti che potrebbero derivarne dalla pubblicazione, che avviene eventualmente e solo in caso di assenza di qualsiasi ombra di dubbio. Aniello sostiene che quello che esce è mediamente il 10% di quello che si conosce davvero, una percentuale comune in tutto il mondo, e molto significativa. Difficile immaginarmi nei suoi panni, con tanti segreti nel cassetto: ogni volta che vado al cinema a vedere un thriller ho bisogno di una settimana per riprendermi dall’ansia (nel caso di Aniello, invece, il film è sempre tremendamente vero). Ci siamo visti a Roma, al termine delle sue vacanze, e ho avuto la conferma che certi dossieratori hanno un’anima. E molto bella, tra l’altro. Sereno, rilassato, abbiamo parlato di Obama e cucina siciliana, di shutdown e di Patti, il bel paesino in provincia di Messina dove Aniello trascorre le ferie facendo il pane e raccogliendo uva nella vigna di famiglia. Riserbo assoluto sui files più scottanti del suo pc, ma molte sensazioni confermate: in America si paga più la bugia di un errore politico, e il privato inchioda molto più del pubblico. Mi sono interrogato sull’etica che ruota intorno al lavoro di Aniello, certamente non il più trasparente, anzi il classico mestiere sporco, ma che qualcuno deve pur fare (e non nell’ombra, come ogni tanto accade alle nostre latitudini). Mi sono chiesto, soprattutto, perché in Italia un lavoro come il suo -regolato e regolare- sarebbe impossibile. Mi sono dato alcune risposte, che ruotano tutte intorno alla fiducia, quella che lega elettore ed eletto, la buona fede che ispira i rapporti tra cittadini, media e politica negli Usa. Anche a costo di tollerare pugnalate e intrusioni nella privacy, scontri fratricidi alle primarie e alle elezioni generali, vince un’idea molto larga del comune interesse, assolutamente bipartisan, una sorta di “unica regola, nessuna regola”, ma rispettata e condivisa anche dalla stampa e dagli avversari. L’ambizione è tollerata, quasi fomentata, l’interesse personale no. Uno scarto, una percezione che dalle nostre parti è ancora difficile comprendere, viste le fitte tele di interessi intrecciati, il sovrapporsi continuo di ruoli e compiti. Negli Stati Uniti le parti sono molto più chiare. Cosi, uno come Aniello può confezionare dossier durante la settimana e dedicarsi –coscienza pulita, e alto senso civico- al volontariato e al gioco delle bocce nel weekend. Magari un giorno andrò a trovarlo a Washington: dicono che il movimento della petanque sia vivacissimo, e magari ci scappa anche qualche segreto sull’amministrazione Obama.
Ps. Nel lavoro di Aniello, il dossieraggio è solo una parte: una buona porzione della sua giornata viene dedicata ai casi di corruzione pubblica e alla supervisione di campagne locali in oltre 22 stati del paese. E dalle questione strettamente private, cosi come la sua associazione, Aniello si tira indietro sempre e volentieri.