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Le recessioni sono specchietti per le allodole: luccicano e tutti si affollano a commentare senza chiedersi come ci si è arrivati. E così parrebbe che i problemi dell’euro nascano nel 2009, con la crisi dello spread, e non nel 1999, con la sua introduzione. Il Professor Guarino non parla di ciclo ma di stagnazione. Dato però che la crescita economica c’entra poco con la politica fiscale, e che semmai il debito la indebolisce, e considerando che lo stesso vale per l’inflazione, rimane da discutere proprio di stabilità finanziaria, che con l’euro c’entra.
Genesi dell’eurocrisi
Per spiegare la crisi non serve parlare di aree valutarie ottimali (altrimenti anche l’Italia andrebbe divisa in due), né ha senso parlare di shock asimmetrici, quando lo ‘shock’ è stato endogeno: occorre partire dall’azzeramento degli spread.
Dal 1999 al 2010 gli spread europei si annullarono, con due anni di ritardo per la Grecia, entrata dopo nell’euro. Il rischio dei paesi periferici era considerato uguale al rischio tedesco: ovviamente, era un errore. Il problema di avere un tasso di interesse troppo basso è che si crea troppo credito. La Grecia e l’Italia hanno usato il ‘dividendo dell’euro’ per finanziare la spesa e il debito pubblici; la Spagna e l’Irlanda ci hanno costruito una bolla finanziaria e immobiliare; il Portogallo ci ha finanziato i consumi. Almeno tre di questi paesi, Grecia, Spagna e Portogallo, si sono pesantemente indebitati con l’estero senza investire in nulla con cui pagare il debito in futuro. Tutti i paesi periferici hanno poi perso competitività: con i vincoli di bilancio allentati dalla manna dei ‘dividendi dell’euro’ si sono potuti aumentare gli stipendi più della produttività.
Nel 2007 era troppo tardi per prevenire la crisi, visti gli squilibri accumulatisi: che si fosse potuta accorciarla di un annetto o ridurla di qualche frazione di punto di PIL si può discutere, ma il crollo in sé era inevitabile.
Risposte all’eurocrisi
La prima risposta della BCE all’eurocrisi è stata annullare quasi il costo del denaro. La seconda finanziare i deficit commerciali della periferia creando credito tramite il sistema Target 2, che l’anno scorso è arrivato ad avere crediti verso la periferia pari a quasi un triliardo di euro. La terza è stata creare ‘scudi’ per manipolare al ribasso il costo dei debiti nazionali, come l’ESM. La quarta creare base monetaria tramite le Outright Monetary Transactions. Nel frattempo la ricapitalizzazione delle banche è stata lenta e parziale, e in molti paesi l’aggiustamento fiscale è stato ottenuto nel modo peggiore possibile, con le tasse.
Si continua poi a parlare di eurobond, titoli di debito europei, e politiche fiscali europee. Spero che i paesi centrali si opporranno: in nessuna federazione gli stati sono garantiti dalla federazione stessa, e la sola idea che ciò potrebbe accadere produrrebbe un altro azzeramento degli spread e un altro boom speculativo. D’altra parte, sperabilmente il rapporto tra Germania e Italia non potrà diventare analogo a quello tra Lombardia e Calabria: la ricchezza dei tedeschi, e la qualità della politica italiana, ne risentirebbero negativamente.
L’euro può funzionare?
L’euro avrebbe potuto non creare una bolla speculativa: se tutti avessero creduto fin dal 1999 che le istituzioni europee non sarebbero intervenute a sostegno dei paesi membri, se la probabilità di bailout, monetizzazioni, crediti Target e tassi di interesse bassi fosse stata considerata nulla da tutti sin dall’inizio. Sotto queste ipotesi probabilmente i tassi di interesse sui titoli dei paesi periferici non si sarebbero annullati.
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Senza spread nulli non ci sarebbe stata una bolla distruttiva, e forse anche la politica sarebbe cambiata, con ad esempio Berlusconi costretto alle dimissioni per recessione già nel 2004-2005. L’Italia avrebbe avuto una stagnazione ancora peggiore nell’ultima decade, ma in linea di massima i PIIGS avrebbero avuto meno crediti inesigibili, meno spesa pubblica, meno consumi, meno boom immobiliare, meno debiti esteri: meno crescita insostenibile, cioè meno squilibri. E forse qualcuno avrebbe fatto qualche riforma in tempo (l’Italia no: non c’era nessuno all’altezza).
Ciò richiede due condizioni: (a) che le autorità europee siano credibili nel garantire che non produrranno azzardo morale e (b) che i paesi membri prendano le dovute misure per non aver bisogno di bailout e svalutazioni. Per ovviare al primo problema serve credibilità: occorre vincolare le politiche monetarie affinché non vengano più usate per finanziare i debitori a danno dei risparmiatori. La credibilità delle istituzioni europee è purtroppo bassissima quando si tratta di controllare gli stati membri. Per il secondo problema, stati capaci di fare le riforme sembrano ancora più fantascientifici.
È possibile concepire un euro che non produca squilibri prolungati e consistenti come quelli che si sono accumulati dal 1999 al 2010 e che hanno abbattuto le economie di mezza Europa. Non sembra però verosimile che un tale euro vedrà mai la luce. Rimane poi il fatto che ci vuole tempo per riuscirci: le riforme strutturali non si fanno in pochi trimestri, né la credibilità si compra pronta su E-Bay. Per quanto improbabile, una via per affrontare i problemi strutturali, tecnicamente, c’è: l’IBL ha proposto mesi fa di attivare i pericolosi ‘scudi antispread’ (che nel lungo termine non dovrebbero proprio esistere) per comprare il tempo necessario per impostare serie riforme. Improbabile, ma possibile.
Pietro Monsurrò
@pietrom79
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