La prima volta che ho incontrato Pierfrancesco Diliberto è stato cinque giorni fa, alla stazione di Napoli: lui arrivava, io l’aspettavo. Lui in zaino e busta, io in borsa e cellulare. Ci siamo salutati (dopo la prima di una lunghissima serie di fotografie con i fan) e ci siamo avviati in albergo, in pieno centro a Napoli. «Odio prendere i taxi», mi ha confidato. «Ogni volta che li prendo, mi fregano» Ne prendiamo comunque uno, uno che non ci frega, e andiamo a Piazza Dante. Nel tragitto, si parla di calcio. Anche perché quella sera, quella dell’11 Dicembre, c’era Napoli-Arsenal e la città era decisamente in fibrillazione. Il tassista ci aggiorna sulla situazione, Pif non sa che dire; passiamo oltre, gli chiedo come sta, da dove sta venendo, come sono andati questi ultimi giorni di promozione del suo film La mafia uccide solo d’estate. E mi dice di Salerno, dell’Università, dei ragazzi che l’hanno accolto, e che «10 minuti di sonno me li farei volentierissimo». Sicuro, gli dico io. Siamo in anticipo; può prendersi anche mezz’ora. E così, mentre lui dorme, io aspetto. E mentre aspetto, do un’occhiata agli ultimi dettagli, prima della proiezione al Modernissimo: è tutto pieno, almeno così, sulla carta. Non c’è più nemmeno un posto. E quando arriviamo fuori al cinema, ce ne accorgiamo: gente, centinaia e centinaia di persone, che non appena lo vedono impazziscono (e impazziscono, potete credermi, veramente). Pif, che è un ragazzo e che è felice di questa accoglienza, si concede a foto, due chiacchiere e qualche autografo; sorride, ringrazia, sorride ancora. Per entrare nel cinema, devo fargli da spartifolla. Una volta dentro, raccogliamo le forze, gli spiego un po’ la situazione, chi c’è, che dire, chi ringraziare. E Pif si sta, annuisce, ride ancora – che è emozionato non è solo una mia impressione. In un giorno difficile come quello di mercoledì, con l’ultima partita di Champions del Napoli in corso, è riuscito in un miracolo: raccogliere almeno un migliaio di persone in un evento unico, stupendo: con Libera Campania, il Modernissimo e i Jackal. E mentre parte the Parker, il corto dei videomaker napoletani, co-produzione loro e di fanpage.it, io e Pierfrancesco ci sediamo in poltrona, gomito a gomito; e ci prepariamo: lui a guardare per l’ennesima volta il suo film, io a fissare lui, ininterrottamente, mentre lo fa.
Sfondo nero, i primi titoli. La mafia uccide solo d’estate inizia, e appena inizia Pif raccoglie le mani vicino alla bocca, dita contro labbra, occhiali sul naso e si fa attento, serio: non so a cosa stesse pensando; ma quasi non lo riconosco. Apprezza gli applausi, le risate; ancora di più le risate e gli applausi insieme. Lo vedo irrigidirsi nei momenti più difficili, e rilassarsi alle battute, alle parole di Enzo Salomone, attore de La mafia uccide solo d’estate, che sta seduto accanto a noi. Alla fine del film, è un tripudio: standing ovation. E Pif ancora una volta è senza parole: emozionatissimo. Perché non solo ha trovato un pubblico che l’ha seguito, l’ha ascoltato e che l’ha apprezzato. Ma pure perché, finalmente, ha davanti a sé una platea che lo capisce. Lo capisce uguale e preciso alla gente di Palermo. «Grazie, veramente grazie» dice al pubblico, stringendo a due mani il microfono; gli brillano gli occhi, si appoggia al palchetto alle sue spalle, sorride – sorride traballante. Il dibattito, le parole di Don Palmese di Libera e Annamaria Torre, figlia del defunto sindaco Marcello, vittima di camorra, passano in tranquillità – condivise, ascoltate, applaudite. E Pif c’è, pure se stanco, felice di essere a Napoli, «una città – dice – splendida e di mare, proprio come Palermo. E, allo stesso modo, offesa dalla criminalità organizzata».
Ne potrei riportare altre di cose che Pier (sì, mi sono azzardato a chiamarlo così in questi giorni) ha detto; e altre mille di quelle che ha fatto. L’impressione, però, alla fine è buona, genuina, sentita: quando uno il cinema lo adora, si capisce da come lo fa, da come ci si approccia; dalla sua reazione davanti alla gente e all’entusiasmo del pubblico. A cena (a mezzanotte e un quarto per la cronaca), in giro il giorno dopo, con i giornalisti, le interviste, le radio, Pif è sempre stato Pif. Non è mai cambiato, né davanti all’obiettivo, né dietro. Il messaggio de La mafia uccide solo d’estate è un messaggio in cui crede veramente, con ogni fibra del suo essere: e ne discute a ogni ripresa, ogni volta che qualcuno gliene domanda. Gioca a fare il divo, ma ogni complimento è un grazie più borbottato e più imbarazzato, un’alzata di spalle più veloce, una strizzata d’occhio più forte. «Arrivati alla mia età, il cibo diventa veramente molto importante. Supera il sesso ad un certo punto»: quanto m’ha fatto ridere. E quanto, alla fine, mi sono ritrovato con lui: il Pif il regista, lo sceneggiatore, l’attore; e Pif il ragazzo, quello con cui si può scherzare di tutto; Pif che ti racconta e si racconta, che ti parla e fa domande. Due giorni come fossero stati trenta. La mafia uccide solo d’estate è ancora nelle sale, e io già aspetto il suo prossimo film. Ciao Pier e grazie. E ricorda: “omologati”.